No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20140820

fondamenta del fardello

Foundations of Burden - Pallbearer (2014)

Aspettavo questo disco, come già anticipato qui, perché lo si dipingeva da più parti come un gran disco; tra queste parti c'era anche l'unico mensile di musica che ancora compro cartaceo, sin dagli inizi nel '92, perché spesso non mi trovo per niente d'accordo. Siccome lo esaltavano fino a farlo disco del mese, la curiosità era stuzzicante. Stavolta siamo d'accordo: Foundations of Burden ha davvero tutti i crismi del grande disco, a partire dal suono, passando dalla struttura, e soprattutto dalla disinvoltura con la quale la band dell'Arkansas suona pur essendo "solo" il loro secondo disco, secondo disco che, ricordiamocelo sempre, "è sempre il più difficile, nella carriera di un artista".
Il genere suonato dai Pallbearer è il più classico dei doom metal, di quelli che ovviamente deve tutto o quasi ai Black Sabbath, e so benissimo che sto diventando noioso con questa storia, ma è così e nessuno ci può fare niente. Che cosa differenzi, o metta su un gradino più alto i Pallbearer rispetto ad altre band che si dilettano nel suonare doom, difficile da spiegare. E' una cosa che va messa a fuoco ascoltandoli, ascoltando, come detto, la disinvoltura nel prendere un genere ad oggi sviscerato in ogni maniera, e facendolo loro in tutto e per tutto. Sei pezzi, cinque dei quali molto lunghi, quattro oltre i 10 minuti, più un bellissimo interludio a base di Wurlitzer (Ashes, un pezzo che non sfigurerebbe nel repertorio di altre band magari dedite all'ambient o cose del genere), curati nei minimi passaggi. Una sezione ritmica massiccia, dove il basso di Joseph D. Rowland si permette linee complesse, ricercate, esaltanti, e due chitarre che si intrecciano alla ricerca di espressioni sonore che richiamano grandi gruppi del genere, cercando di esprimere al tempo stesso compattezza e muscoli nelle ritmiche, e grandi linee melodiche nei lunghi e ripetuti assoli. La voce di Brett Campbell è pulita (naturalmente, come purtroppo accade in molte di queste band dove il cantante è anche un musicista, perde un po' dal vivo), migliorata rispetto al disco precedente, dalle tonalità alte ma senza osare troppo, e però si sposa alla perfezione con il complesso sonoro e con l'atmosfera che i Pallbearer vanno cercando. La velocità alla quale si "viaggia" è bassa, ma la resa è massima.
Un'altra band che si va ad aggiungere alle già affermate Mastodon e The Sword, per una conferma di una genere che non ne vuole sapere di morire. Un disco da tenere presente alla fine dell'anno, quando solitamente viene il momento di tirare le somme.


It's only the second album for the Arkansas' band, but it's almost a masterpiece. Their doom metal is obviously in debt by Black Sabbath, but they are so confident in themselves that they are playing like if the genre belongs to them. Great rythmic section, with a bass player to keep an eye on, and two guitars that are at the same time muscular and melodic. This is an album to remember, in this 2014.

Nessun commento: