No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20140724

The Death of the Shelf

Tradotto su Internazionale 1056, una breve riflessione di uno dei miei scrittori preferiti sui progressi della tecnologia, di come ci rapportiamo ad essa, ed altre gustose e intelligenti riflessioni.
Will Self dalla rivista Prospect.

Potreste pensare che le voci sulla morte della mensola siano infondate, almeno se visitate casa mia, dove sono un argomento scottante nonché oggetto di contesa. La settimana scorsa, arrivando a casa dopo aver trascorso alcuni giorni lavorando a un libro (un libro che, spero, prima o poi sarà stampato, pubblicato e avrà bisogno di un luogo dove essere riposto), ho scoperto che in cucina erano apparse due nuove mensole. Una era solo funzionale: un ripiano in più nella dispensa, su cui conservare quei fastidiosi barattoli di sottaceti. Ma l’altra era decisamente barocca, con il bordo incrostato di mosaici, fissata in alto sopra il piano di lavoro e sorretta da due elaborati sostegni in ferro battuto che raffigurano dei fanciulli danzanti. Mi è stato detto che un tempo quei sostegni avevano sorretto la vasca di un gabinetto vittoriano e posso assicurarvi che se avessi espresso altro che assoluta approvazione per la nuova mensola sarebbe nata una lite domestica. Io e mia moglie apparteniamo a una generazione – baby boomer tardivi, ora da poco cinquantenni – che venera la mensola. Per noi la mensola è il ricettacolo della cultura esposta. Disposti sulle nostre mensole ci sono tutti i manufatti di nostra proprietà che per noi hanno un significato e quelli che ammettiamo in casa, ciò che conosciamo, ciò che ci piace e ciò che consideriamo importante o per il suo valore d’uso o per questioni estetiche. Le mensole trasformano le stanze delle nostre case in nitide sale di un palazzo della memoria al quale noi e i nostri ospiti abbiamo libero e continuo accesso. Se preferite, le mensole sono le giunture che uniscono passato e presente, pubblico e privato, pratico e decorativo. Ben più dei quadri o di altri elementi d’arredo, le mensole – la cui raison d’être è contenere e insieme mostrare – sono, a mio avviso, il cardine stesso di una forma di domesticità borghese che risale perlomeno agli albori del periodo moderno. A Skara Brae, il villaggio neolitico delle isole Orcadi rimasto intatto sotto una duna fino al giorno in cui, nell’inverno del 1850, una tempesta non lo riportò spettacolarmente e provvidenzialmente alla luce, si vedono case dell’età della pietra provviste di camini, letti e sistemi di mensole che hanno resistito per quasi cinquemila anni. Su questi elementi di mattoni e legno pietrificato (che tanto evocano il neofunzionalismo deglianni settanta) sono raggruppati piccoli contenitori, utensili domestici e altri strumenti. Ci si può solo domandare se gli abitanti avessero a cuore il loro modo di disporre e mettere in mostra così come mia moglie ha a cuore la nuova mensola in cucina, con il suo assembramento di cafettiere di vari tipi e varie misure, e credo sia ragionevole pensare di sì. Di certo esistono numerose raffigurazioni di mensole in contesti premoderni che indicano questo doppio scopo espositivo e pratico. Nel rinascimento la mensola è ormai pienamente integrata nello spazio pittorico come tropo figurativo: è rappresentata come una pietra tridimensionale che, insieme con nicchie, trabeazioni e altri dettagli architettonici, serve a imporre la mano dell’uomo sul mondo naturale, e perfino su quello celeste: la Pietà e la Madonna del latte sono spesso raffigurate su mensole.
Ma è probabilmente solo nell’ottocento che la mensola domestica acquisisce una completa articolazione ideologica. Da qualche parte lungo le faglie funzionalistico-decorative tra il Biedermeierla Belle époque e il movimento arts & crafts, viene appesa una mensola di tipo diverso, chiaramente moderna ed enfaticamente piccolo borghese. La capitolazione e ricapitolazione del similartigianale come elemento decorativo esiste in un paradossale rapporto con l’inizio della produzione su scala industriale di tutta una gamma di oggetti: non dimentichiamo che William Morris finanziò il suo sogno estetico-socialista grazie a un’azienda di carte da parati di enorme successo. Mi verrebbe da dire che, fino a quando libri e soprammobili rimangono oggetti costosi ed elaborati, la mensola non è un posto sicuro dove riporli. In fin dei conti possono sempre cadere. Ma tra gli anni sessanta e gli anni ottanta dell’ottocento, questi manufatti diventano più economici e largamente disponibili, tant’è che per accoglierli vengono montate delle mensole. La cultura smette di essere una questione aristocratica acquisita in modo ereditario e diventa un attributo che si può acquistare preconfezionato. Scrivendo mezzo secolo dopo, a proposito di quest’epoca Walter Benjamin osserva: “Gli interni piccolo borghesi del 1860-1870, con le gigantesche credenze cariche di legni intagliati, gli angoli in ombra con la palma nel vaso, il bovindo con la balaustra di protezione e quei lunghi corridoi in cui sibilano le fiamme a gas, si dimostrano adatti soltanto ai cadaveri”. L’idea di Benjamin è che i grandi scrittori anticipano gli ambienti in cui le loro storie si svolgeranno. E che l’epoca d’oro della narrativa poliziesca logico-deduttiva sia cominciata con il proto-Sherlock Holmes di Edgar Allan Poe, Auguste Dupin, in un’epoca in cui interni del genere dovevano ancora materializzarsi. La soluzione che Dupin dà al caso della Lettera rubata ruota significativamente intorno all’occultamento – in scrittoi, dietro libri riposti su mensole – e ciò che Benjamin vuole farci notare è l’integrazione dell’informazione nello spazio domestico: il metodo dell’investigatore ci rivelerà, attraverso l’analisi degli oggetti, i gusti del padrone di casa. Con questo non si vuole suggerire che prima del tardo ottocento il libro non fosse considerato un oggetto decorativo. Tuttavia, così come le dimensioni, il peso e il costo dei primi codici richiedevano mobili dedicati – per esempio tavoli da lettura piatti e scaffalature da magazzino – così la biblioteca in sé è rimasta uno spazio specializzato. Ai tempi in cui Virginia Woolf scrive Una stanza tutta per sé, l’invenzione della stampa offset ha già reso accessibile anche al più umile degli impiegati una mensola di libri in salotto. E anche se Woolf era afflitta dagli snobismi dell’epoca come altri della sua classe sociale, il dare per scontato che tutti i suoi lettori riuscissero a figurarsi mentalmente un interno domestico tappezzato di libri lascia intuire tutto il mensolame egalitario e fai da te di là da venire. Nel suo saggio, Woolf usa l’immagine ricorrente del prendere i libri dalle mensole (o riporveli) nove volte; non solo si descrive nell’atto di prelevare volumi, ma immagina che facciano lo stesso anche i suoi personaggi letterari femminili, in un gioco di mensole dentro altre mensole. Questo trattamento non è riservato solo ai libri ma anche ai barattoli, e nell’illustrare le libertà necessarie a coltivare il talento letterario femminile, ritengo che Woolf stesse inconsciamente integrando il luogo di lavoro femminile per eccellenza dell’epoca – la cucina – con la sede della produzione letteraria. L’onnipresenza della mensola nel libro di Woolf potrebbe anche essere un’eco repressa del motto di scherno che veniva spesso rivolto alle donne intellettuali come lei in un’epoca in cui il matrimonio era ancora considerato l’apoteosi della vita femminile: you’ll be left on the shelfrimarrai sullo scaffale.

continua domenica 27 luglio         

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