No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20140521

Ritratto dell'Uruguay, il paese che sorprende il mondo (3)

continua da ieri


Nostalgici e malinconici

Torniamo in albergo contenti, lasciamo le nostre cose e usciamo a fare una passeggiata: è a questo punto che incontriamo il signore dall’aria benestante secondo il quale non dovremmo avvicinarci al mercato. Il giorno dopo, sempre con una pioggia e un vento tropicali, andiamo a trovare il Presidente nel suo ufficio e lo troviamo impegnato in una diretta radiofonica. Sta parlando dei fenomeni climatici estremi che in questi giorni hanno colpito l’Uruguay rovinando i raccolti, allagando diverse zone del paese e distruggendo le strade. Mujica parla della siccità, delle inondazioni e delle nevicate in luoghi impensabili e spiega che, per colpa del cambiamento climatico, è aumentato il livello del mare e alcune isole dei Caraibi in un giorno hanno perso uno o due punti del pil. Sostiene che abbiamo bisogno di politiche globali, ma il mondo oggi è preso da cose che considera più urgenti. Paragona il cambiamento climatico e le tempeste finanziarie, spiega che tra il 2001 e il 2002 in Uruguay un cataclisma economico ha portato il 40 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà e la responsabilità è stata del sistema inanziario lasciato a se stesso. “Adesso nel nostro paese”, afferma Mujica, “potranno esserci dei temporali, ma non tempeste economiche, perché il sistema finanziario è sotto controllo”. Il presidente chiude la conversazione radiofonica e ci invita a sederci. L’ufficio, sei o sette volte più grande della sua casa, è luminoso, ha i soffitti alti, ma è un po’ impersonale. A proposito delle tempeste finanziarie di cui ha parlato alla radio, Mujica ricorda quella del 2002, all’epoca della crisi argentina. “Eravamo a terra”, racconta, “poi abbiamo deciso di mettere sotto controllo il sistema finanziario. Le banche straniere, come la spagnola Santander, sono presenti ovunque in Uruguay, ma non possono fare niente: le teniamo in pugno. Abbiamo alcune banche dello stato che sono di gran lunga più forti”. Su una prolunga del tavolo alla destra di Mujica sono esposti diversi oggetti, tra cui il modellino di un treno ad alta velocità. “Sono quasi tutti regali dei cinesi. Mi propongono una ferrovia e per convincermi mi portano un modellino come questo. Forte, vero?”. “Le hanno proposto di costruire una ferrovia?”. “Sì, più di una. Il paese è cresciuto e abbiamo un serio problema di trasporti. Dobbiamo risolverlo e faremo affari con i cinesi, che sanno costruire le ferrovie”. “I cinesi stanno comprando tutto”. “Ma noi non vendiamo le terre e ne venderemo sempre meno. Faremo attenzione alla terra e all’acqua, perché sono le materie prime più preziose. Questo è un paese piccolo, ma il 90 per cento del territorio è produttivo. Non si può vendere un pezzo di terra coltivabile come se niente fosse: non ne restano mica tanti nel mondo. La popolazione aumenta e vuole vivere sempre meglio, e oggi il settore alimentare, che era finito in secondo piano, è tornato alla ribalta”. Dopo aver visitato la Torre Ejecutiva salutiamo José Mujica dandoci appuntamento a sabato per andare ad Anchorena, la località del dipartimento di Colonia dove si trova la residenza estiva del presidente. L’Uruguay è un paese piccolo e le sue coste sono bagnate dall’oceano Atlantico e dal Río de la Plata. Confina a nord con il Brasile e a ovest con l’Argentina. Osservando la mappa del cono sud latinoamericano – dove per convenzione il nord sta sopra e il sud sotto – e considerando che la forza di gravità spinge verso il basso ciò che è in alto, l’Uruguay sembra spinto verso il mare da quei due giganti. Questa situazione a incastro provoca in alcuni uruguaiani delle convulsioni claustrofobiche che in parte spiegano la lunga storia di emigrazione del paese. È un posto da cui bisogna andare via, anche se negli ultimi anni sembra che sia diventato un paese dove tornare. L’Uruguay ha poco più di tre milioni di abitanti e la metà vive nella capitale, Montevideo. Forse perché sembra davvero incastrato tra l’Argentina, il Brasile e l’oceano, forse per le sue dimensioni, per il suo clima, perché è un paese formato quasi al 90 per cento da emigrati europei o forse per tutti questi fattori insieme, gli uruguaiani esagerano sempre verso il basso (così come gli argentini esagerano sempre verso l’alto). Se è vero, come recita un proverbio, che un argentino si suicida lanciandosi nel vuoto dall’alto del suo Io, saltando dal suo Io un uruguaiano si romperebbe a malapena una gamba. Insomma, l’Uruguay è un paese con una scarsa autostima. Sono solo luoghi comuni, penserete. È vero, ma sono così presenti nella vita quotidiana, nelle conversazioni e nelle letture degli uruguaiani che è importante prenderli sul serio. A volte sembra che l’unica ragione di esistere dell’Uruguay sia quella di fare da contrappunto all’Argentina. Non siamo qui per stabilire se il cantante e compositore Carlos Gardel fosse argentino o uruguaiano: pare che fosse uruguaiano, anche se prese la cittadinanza argentina nel 1923. Gli uruguaiani, insomma, sarebbero nostalgici, malinconici, addirittura tristi. L’Uruguay – e questo è un dato di fatto – ha il tasso di suicidi e di morti per tumore più alto dell’America Latina. Perché allora a dicembre del 2013 l’Economist l’ha scelto come paese dell’anno “per la sua ricetta della felicità umana”? I giornalisti del settimanale britannico hanno forse perso la ragione? Assolutamente no. E questo non perché negli ultimi tre anni il governo ha depenalizzato l’aborto, ha legalizzato i matrimoni omosessuali e la produzione, il possesso e la vendita di marijuana. Sono tutte riforme importanti, ma sono solo la punta dell’iceberg. I cambiamenti profondi, forse meno plateali, che hanno reso possibile tutto il resto, sono stati altri. Nel 2005, quando la coalizione di partiti di sinistra Frente amplio ha vinto le elezioni, l’Uruguay era in pieno declino per le conseguenze della crisi economica argentina del 2002 e le politiche neoliberiste dei governi passati. La disoccupazione era così alta che il 40 per cento della popolazione viveva sotto la soglia di povertà. Il salario reale era crollato, molti uruguaiani emigravano, l’inflazione aveva raggiunto livelli altissimi e il debito estero sembrava troppo grande per essere risanato. Nove anni dopo, la disoccupazione è scesa al 6,5 per cento e gli stipendi hanno di nuovo lo stesso potere d’acquisto degli anni precedenti alla crisi. Secondo uno studio della rivista Americas Quarterly, oggi l’Uruguay è in testa alla classifica d’inclusione sociale del continente americano, davanti al Cile e agli Stati Uniti. Il primo governo del Frente Amplio, guidato da Tabaré Vázquez (Presidente dal 2005 al 2010) e con José Mujica ministro per l’allevamento, l’agricoltura e la pesca, ha promosso a tempo di record una serie di piani di sviluppo che hanno creato occupazione. Ha garantito diritti che si erano persi durante l’epoca liberista, ha introdotto il salario minimo e condizioni d’impiego più dignitose, e ha approvato delle leggi importanti per la tutela del lavoro: oggi nei campi non si lavora più dall’alba al tramonto, ma per otto ore. Il governo ha fatto nuovi investimenti (in Uruguay ci sono le due cartiere più grandi del mondo, e il governo ha in progetto la terza). E mentre scrivo questo reportage, il paese sta firmando un accordo con una multinazionale per estrarre il ferro dalle miniere, che daranno un impiego a molte persone per quindici o vent’anni (progetto Aratirí). Nel 2009 José Mujica ha vinto le elezioni e ha mantenuto la linea economica del suo predecessore, puntando però su alcune questioni sociali. Con una parte dei profitti del Banco de la República, il presidente ha creato un fondo per inanziare iniziative comunitarie di economia sociale: lui la chiama “ricerca di modelli di sviluppo alternativi al capitalismo”. Sono cooperative o iniziative simili che devono rendere conto del loro andamento e sono sottoposte a rigidi controlli da parte di economisti ed esperti. In questi anni Mujica ha fatto molto anche per chi, nell’epoca di maggiore povertà, è andato a vivere nei dintorni della capitale. Ha approvato dei piani di emergenza per evitare che queste persone uscissero dal sistema, prima con interventi assistenziali, poi con programmi di costruzione partecipata di case, asili e ambulatori. Alcuni insediamenti abusivi sono stati legalizzati e oggi i loro abitanti hanno accesso ai servizi di prima necessità. Il tasso di disoccupazione, molto basso, ha contribuito al reinserimento sociale di questi gruppi, che in teoria erano condannati all’emarginazione. In Uruguay ci sono il salario minimo (360 euro), un sistema sanitario pubblico, un buon sistema pensionistico e l’analfabetismo è assente. Il 98 per cento della popolazione ha accesso all’acqua potabile e il 70 per cento ha un collegamento al sistema fognario. L’Uruguay è il principale esportatore di software dell’America Latina e si sta interessando alla biotecnologia perché è utile per il settore agricolo, zootecnico e alimentare. E, ciliegina sulla torta, il paese ha un Presidente che ha il coraggio di vivere come predica.

continua domani 

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