No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20140408

Le avventure di Matteo Renzi

Qualche settimana fa, poco dopo l'avvento di Matteo Renzi al governo, su Internazionale nr. 1039 ho letto questo articolo del vice direttore del quotidiano catalano La Vanguardia, che mi è molto piaciuto. Vorrei condividerlo con voi, seppure con un discreto ritardo, perché è uno dei primi articoli stranieri che mi pare davvero molto equilibrato sulla politica italiana, e che fa riflettere non poco: infatti, non solo è equilibrato, ma, pensate un po', loda il sistema politico/elettorale italiano, sostenendo che per molti anni ha dato vita alla democrazia migliore del bacino mediterraneo, e del Sud dell'Europa.


Di Enric Juliana
Dimissioni, rielezioni, colpi di mano. L’Italia non finisce di sorprendere gli osservatori stranieri.
Il vicedirettore della Vanguardia si chiede se il segretario del Partito democratico riuscirà a non farsi divorare dal mondo politico romano.

Dopo appena un anno, l’Italia torna a sorprendere gli osservatori stranieri con l’ultimo dei suoi equilibrismi politici. A febbraio del 2013 ci sono state le elezioni politiche, da cui non è uscita una maggioranza netta. Tra febbraio e marzo dello stesso anno ci sono state le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di papa Francesco. Infine, ad aprile del 2013, la rielezione come soluzione di emergenza del presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che ha 88 anni. Dodici mesi dopo quella strana fase di stallo, l’Italia è di nuovo sulle prime pagine dei giornali stranieri, e Matteo Renzi, 39 anni, sindaco di Firenze, che ha alle spalle solo un’esperienza da amministratore locale, è la stella in ascesa della politica italiana. Renzi è un politico molto a suo agio con i mezzi d’informazione. È riuscito a incarnare le ansie di ricambio generazionale di un paese bloccato, corporativo e gerontocratico, e ha indossato la tunica di Bruto. Iperattivo, dipendente da Twitter, piccoloborghese, cattolico, figlio di un consigliere democristiano di un paesino toscano (Rignano sull’Arno), estraneo (fino a pochi giorni fa) agli intrighi della politica romana, ambizioso, apparentemente ingenuo e con ottimi legami con importanti centri del potere economico, Renzi ha appena scalzato l’ex presidente del consiglio Enrico Letta con una mossa improvvisa che ha suscitato molto stupore. Il commento più comune in questi giorni è: l’Italia, il paese dei pasticci, non cambia mai. Non sarò io a cercare di difendere l’idea dell’Italia come paese limpido, facile da capire e con un sistema politico esemplare. Ma attenzione ai luoghi comuni e agli stereotipi. L’Italia, con tutti i suoi difetti, è il paese più democratico dell’Europa meridionale. Un laboratorio da cui c’è sempre qualcosa di interessante da imparare. Poco tempo fa un giovane romano in visita a Madrid, appena laureato in scienze politiche, mi diceva: “L’Italia a volte mi stanca e spesso mi irrita, però mi fa sempre pensare”. Ecco allora quattro luoghi comuni da sfatare sull’Italia.

1. Un paese contorto che fa casino
L’Italia è uno degli stati nazionali dell’Europa occidentale di più recente formazione. Società antica, culla del primo grande impero occidentale, è diventata una nazione solo nel 1861. Una nazione che ha avuto tre grandi regimi politici: la monarchia costituzionale, la dittatura fascista (sostenuta dalla monarchia) e la repubblica. L’attuale costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, subito dopo la fine della guerra, è una costituzione molto democratica, basata su un estenuante equilibrio tra i poteri e fondamentalmente orientata a evitare la ricomparsa di un “uomo forte” con velleità dittatoriali. È una costituzione figlia della sconfitta politica e militare del fascismo, frutto di un patto tra un ampio ventaglio di forze politiche (dai democristiani ai comunisti, dal Vaticano al partito amico di Mosca) e approvata dai cittadini con un referendum. Grazie a una serie di riforme, la costituzione ha retto alla guerra fredda nonostante l’Italia fosse nella zona di massima frizione tra i due blocchi. È un dato molto importante. L’Italia è stata per anni l’unica democrazia parlamentare dell’Europa meridionale e di tutto l’arco mediterraneo. In Portogallo c’era Salazar, il dittatore contabile. In Spagna c’era Franco, il dittatore militare. In Jugoslavia c’era il maresciallo Tito, il dittatore partigiano. In Grecia, la giunta dei colonnelli. In Turchia, i generali che si ispiravano ad Ataturk. In Egitto, i militari nasseristi. In Libia, Gheddafi, il satrapo eccentrico. In Tunisia, il dittatore laico e filofrancese Bourguiba. Nell’Algeria postcoloniale, la ferrea cupola dell’Fln. In Marocco il re Hassan II, discendente del profeta, commendatore dei credenti, intelligentissimo e semifeudale. In poche parole, l’Italia era l’unica democrazia parlamentare in una regione chiave del mondo (la frontiera tra Europa e Africa) caratterizzata, per decenni, dall’autoritarismo e dalla mancanza di libertà democratiche. Mentre la Spagna viveva in piena autarchia, sull’orlo del collasso economico, nel 1957 a Roma veniva firmato il trattato di fondazione della Comunità economica europea. La Francia, un altro paese del Mediterraneo, aveva una solida democrazia parlamentare, con una correzione: un forte presidenzialismo, incarnato per anni dalla figura del generale de Gaulle. La democrazia italiana non ha mai avuto il suo de Gaulle. Ha avuto la Democrazia Cristiana, sostenuta dal Vaticano; la Rai, uno dei servizi radiotelevisivi pubblici più potenti d’Europa; Cinecittà, la fabbrica dei sogni del cinema statunitense in Europa (la forte presenza americana negli studi di Roma, in piena guerra fredda, non si spiega solo per ragioni di risparmio economico); e ha avuto (e ha ancora) un cattolicesimo popolare estremamente radicato. Ha avuto anche il più grande partito comunista dell’occidente (con il passare degli anni più gesuitico che moscovita) e dei sindacati molto forti. Mentre in Spagna i comunisti venivano fucilati o confinati nella prigione centrale di Burgos, in Italia si votava e la politica affiorava nel cinema, in televisione e nella letteratura. La costituzione del 1948 ha resistito a un insieme di forze. Una vera e propria impresa.

2. L’ingovernabilità
In Italia il presidente della repubblica è un arbitro senza poteri esecutivi. Il presidente del consiglio governa, ma non regna. Il presidente della repubblica è meno importante del presidente della repubblica francese, ma ha più margine di manovra del re di Spagna. Il presidente del consiglio ha meno poteri del capo del governo spagnolo. Questo è il sottile gioco di equilibri nato durante i lavori preparatori della costituzione. Il parlamento è la chiave di volta. La camera dei deputati e il senato, quasi mille parlamentari in tutto, hanno lo stesso peso, dando vita così a un bicameralismo perfetto. Se il presidente del consiglio perde la fiducia del senato o della camera, deve lasciare il suo incarico e non può minacciare di sciogliere il parlamento, una prerogativa che invece è attribuita al presidente della repubblica. Questa divisione dei poteri spiega le frequenti crisi di governo. Dal 1948 al 2000, la media è stata di un governo all’anno. Instabilità cronica? Così ci sembrava in Spagna, quando i telegiornali del franchismo spiegavano con profusione di dettagli le crisi di governo in Italia. Confesso che ho imparato le prime nozioni di politica italiana dal telegiornale quando la tv era ancora in bianco e nero: Andreotti, Fanfani o Saragat che entravano nel palazzo del Quirinale per un incontro con il presidente della repubblica Giovanni Leone, la maestosità dei corazzieri, gli uomini in grigio che annunciavano la formazione di un nuovo governo. Instabilità? Dal 1948 al 1993 in Italia ha governato sempre lo stesso partito, la Democrazia cristiana, con diverse alleanze parlamentari e varie correnti interne. Alla fine della guerra fredda, nei primi anni novanta, quella logica venne meno e cominciarono ad affiorare i difetti del sistema: la corruzione, il finanziamento illecito ai partiti, il clientelismo. Quell’enorme e potente parlamento, pensato per impedire la comparsa di un secondo Mussolini, era diventato uno strumento inadeguato nell’affrontare le nuove esigenze sociali. Indro Montanelli, il più importante giornalista italiano del novecento, sosteneva che la costituzione italiana ha dei difetti di fabbricazione. È molto interessante la sua riflessione sulle diverse strade seguite dalla Germania e dall’Italia dopo l’esperienza della dittatura. Il nocciolo della questione è l’autorità del potere esecutivo. La Germania federale ha interpretato il nazismo come il risultato dell’esasperante fragilità della repubblica di Weimar e ha adottato una costituzione federale per garantire la stabilità del governo. L’Italia repubblicana ha letto nel fascismo il rifiuto del parlamentarismo e ha voluto restituire l’autorità al parlamento, mantenendo sotto stretto controllo l’esecutivo. Due diagnosi e due storie politiche diverse. Il sistema costituzionale italiano non consente la nascita di un esecutivo forte. Durante la guerra fredda questa situazione è stata superata grazie alla permanenza al potere di un blocco anticomunista. Terminata quella fase storica, l’assenza di un governo forte è diventata un problema, perché le società postmoderne amano il decisionismo. Decisionismo: la capacità di prendere decisioni concrete e veloci per intervenire sui diversi aspetti della realtà sociale con continue riforme e aggiustamenti. Oggi la chiamano governance. Il parlamento italiano non fa altro che legiferare, ma impedisce la formazione di un governo decisionista. Per anni, ogni pomeriggio, a Montecitorio, sede della camera dei deputati, è stato distribuito un bollettino confidenziale chiamato la Velina in cui si rendeva conto di tutte le manovre in corso. Dopo qualche tempo è nato un bollettino di sinistra, la Velina RossaMille parlamentari nel centro di Roma, pagati profumatamente, che hanno la possibilità di assumere un assistente: una festa per ristoranti, alberghi e pensioni. Grandi manovre. Grandi cospirazioni. Grandi momenti di oratoria. Una o due volte all’anno anche scontri fisici all’interno dell’emiciclo. I commessi di Montecitorio (pure loro pagati profumatamente) sono abituati a separare i contendenti. E lo fanno con vera professionalità. Il primo forte segnale di perdita di autorevolezza del gigantesco parlamento italiano risale al 1987, con l’elezione di Cicciolina (Ilona Staller, un’attrice porno ungherese, naturalizzata italiana) come deputata del Partito Radicale. Il muro di Berlino e l’Unione Sovietica stavano per crollare. E siamo alla postmodernità. Negli anni ottanta, il socialista Bettino Craxi cercò di emergere come leader decisionista (i vignettisti lo disegnavano con gli stivali di Mussolini). Una volta caduto in disgrazia, il decisionismo è stato rappresentato dal fascino elettorale dell’imprenditore Silvio Berlusconi: l’Italia è una grande azienda e ci vuole un imprenditore per gestirla. “Lasciatemi lavorare!”, diceva il Cavaliere. Berlusconi e Forza Italia hanno cercato di colpire la costituzione per realizzare una riforma chiaramente presidenzialista. Il multimiliardario milanese, intelligente e tenace, ha fallito nel suo tentativo. Gli ultimi vent’anni in Italia hanno ruotato ossessivamente intorno a tre questioni: i poteri del presidente del consiglio, lo sfinimento dei vecchi partiti repubblicani e la salvaguardia degli equilibri costituzionali. La costituzione antifascista del 1948 ha resistito, ma molti italiani hanno cominciato a odiare il parlamento. Nel 2007 i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, del Corriere della Serahanno pubblicato un libro di denuncia dirompente intitolato La casta (Rizzoli) dove hanno raccontato dettagliatamente tutti i privilegi dei politici: pensioni, vitalizi, autisti, assistenti. Il libro è andato a ruba. Senza il “pericolo comunista” nell’orizzonte piccoloborghese delle belle città della penisola, gli italiani, stressati dalle tasse e dalla concorrenza, hanno scoperto che la fabbrica della politica costa troppo cara. Da allora la diminuzione dei suoi costi è un’altra delle questioni al centro del dibattito pubblico. Alle ultime elezioni politiche, nel febbraio del 2013, il comico Beppe Grillo ha ottenuto un grande successo protestando contro i costi della politica e proponendo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Non senza contraddizioni interne, il Movimento 5 stelle di Grillo è entrato in parlamento annunciando di rinunciare al finanziamento pubblico. Anche Matteo Renzi insiste sui costi della politica, cogliendo di sorpresa quei settori della sinistra italiana convinti che, senza un minimo di finanziamento pubblico, non ci possa essere competizione politica alla pari. Renzi, opportunista e a suo agio davanti a una telecamera, ha fiutato l’umore del popolo e cerca di contendere la bandiera “dell’antipolitica” a Grillo. Vedremo come la gestirà da palazzo Chigi. 
Italia, museo della storia. Mussolini eliminò il parlamento e finì per diventare una marionetta nelle mani dei nazisti nella repubblica di Salò (il regime fascista confinato nel nord del paese). L’antifascismo riportò il parlamento al centro del paese, con mille deputati e senatori ben pagati e con una forte capacità di controllo sul governo. Oggi, a sessantacinque anni di distanza, il parlamento sembra un covo di privilegiati, che succhiano i fondi pubblici e bloccano le decisioni in un momento di crisi. Quando le sue contraddizioni sembrano senza via d’uscita, l’Italia cerca il condottiero. La figura del decisionista è una costante storica. Bettino Craxi ci aveva provato e per poco non finì in carcere (è morto nel 2000, rifugiato nella sua casa al mare in Tunisia). Berlusconi, uno degli imprenditori più ricchi d’Europa, ci ha provato con molti più mezzi e molta più forza, ed è finito semisconfitto e bersaglio di ironie per le sue avventure sessuali. Moderno Caligola, condannato in tribunale ed espulso dal senato, sogna ancora una rivincita. Io non lo darei per morto. È apparso sorridente dopo essere stato chiamato per le consultazioni al Quirinale. No, non date ancora per morto Berlusconi. Ma ora arriva Supermatteo, il decisionista di Firenze, armato di Twitter,Facebook, Powerpoint, tablet, foto dei fratelli Kennedy nello studio, bicicletta, smart phone, jeans, maniche di camicia, spin doctor, la Forza Italia del centrosinistra.
Oh, yeah!

Continua domani

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