No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20130817

pallidi fantasmi verdi

Pale Green Ghosts - John Grant (2013)

E' proprio vero che ogni giorno durante il quale stai sulla Terra, impari qualcosa. Da tempo, andavo avanti (l'obiettivo, come i lettori più attenti sapranno, è quello di riuscire a presentare almeno un post al giorno) con una sorta di tesoretto: tutti i film che avevo visto, e che man mano recensivo. La mia dipendenza (relativamente recente) da serie tv, ha fatto si che veda meno film, e che alla fine mi sia ritrovato senza questa "scorta". Averle dato fondo, mi ha obbligato a parlare di più di musica, cosa che, non vorrei risultare troppo immodesto con tale affermazione, mi veniva chiesto da almeno due persone. Ed essendo "costretto" a parlare di musica un po' di più, mi sono reso conto che ciò mi ha portato ad ascoltare meglio le cose che avevo precedentemente sentito con poca concentrazione. Ecco, quindi, che "rispolvero" con ritrovato entusiasmo questo secondo lavoro solista di John Grant, personaggio quantomeno particolare, ma davvero dotatissimo.
Il primo lavoro, Queen of Denmark del 2010, ci rivelava, per quelli come me che non avevano mai conosciuto la sua band precedente The Czars, un artista capace di un songwriting sontuoso, e che bazzicava dalle parti dell'elettronica. Questo secondo Pale Green Ghosts, titolo che pare si riferisca agli olivi presenti vicino alla casa di famiglia dei Grant in Colorado, è la decisa conferma che siamo di fronte ad un musicista che affonda le sue influenze anche nella musica classica (Glacier) o quantomeno nell'uso classico del piano (anche Bacharach, per dire), ma che vive il presente, non disdegnando di gettare un occhio al passato per così dire prossimo (la title-track, Sensitive New Age Guy o You Don't Have To potrebbero essere stati musicati da Giorgio Moroder per Donna Summer). Come detto, le canzoni sono belle, spesso molto belle, a volte addirittura piccoli capolavori (I Hate This Town, GMF, It Doesn't Matter to Him).
Prima di parlare delle collaborazioni e della realizzazione di questo disco, un paio di cose sulla vita personale di John: ha ammesso, già all'epoca del primo disco solista, di essere stato dipendente dall'alcol e dalle droghe, di aver avuto problemi ad accettare di essere gay. Di recente, nel 2012, ha rivelato di essere sieropositivo (durante un concerto con gli Hercules and Love Affair), e si è trasferito in Islanda. E' proprio qui che è stato registrato Pale Green Ghosts, con musicisti quasi tutti islandesi, e con la preziosa supervisione (e il synth programming) di Birgir Pórarinsson (in arte Biggi Veira) dei Gus Gus (band nella quale ha militato anche Emiliana Torrini Davidsdóttir). C'è anche Sinéad O'Connor ai backing vocals, Sinéad che ha coverizzato Queen of Denmark (la title-track del precedente lavoro di Grant) sul suo ultimo disco del 2012, How About I Be Me (And You Be You).
Concludiamo con una veloce analisi dei testi. L'attitudine è apparentemente cazzara, sboccata, divertente, ma in realtà nasconde, e nemmeno troppo, un'amarezza di fondo (concepibilissima, viste le cose di cui sopra), e una sorta di arrabbiata riflessione sui temi portanti della vita di Grant; la malattia, l'omosessualità, il rapporto con la famiglia, con il suo passato, il suo ex fidanzato. Non ci si lasci ingannare dalla voce baritonale, accademica, quasi compassata: come lui stesso ci dice nella splendida GMF, "But I am the greatest motherfucker that you've ever going to meet".
In conclusione, John Grant è una realtà, una delle più interessanti nel mondo della musica d'autore alternativa. E Pale Green Ghosts è uno di quei dischi che non dovrebbe passare inosservato. Almeno, questo è quel che penso io.

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