No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20130628

To Have and To Hold

Mad Men - di Matthew Weiner - Stagione 6 (13 episodi; AMC) - 2013

Il 1967 sta terminando, è in arrivo il 1968. Don e Megan sono nientemeno che alle Hawaii, sembra una vacanza ma non lo è: Don è al Royal Hawaiian Hotel, di proprietà Sheraton, per toccare con mano quello che andrà a pubblicizzare di lì a poco. Mentre Megan pian piano sta diventando una celebrità, almeno della televisione, per la sua parte in una seguitissima soap-opera pomeridiana, lo struggimento interno di Don è implacabile. L'uomo continua a bere come una spugna, a fumare come un turco, a dormire poco o niente, addirittura a mischiare sogno, immaginazione e realtà. Se la scorsa stagione chiudeva dando l'impressione di aver cambiato atteggiamento di fronte al matrimonio, il suo secondo, mentre la ex moglie, Betty, con la quale ormai i rapporti si sono pacificati, sta tornando in forma, ed i figli, soprattutto Sally, cominciano a diventare incontrollabili, Don "quest'anno" ci dimostrerà che non è affatto così. Di ritorno dalle Hawaii, Don e Megan sembrano molto in confidenza con una coppia che abita nel loro palazzo: il dottor Arnold Rosen e la moglie Sylvia. Scopriremo che la confidenza è pure troppa.
Nel frattempo, Peggy vive stabilmente con Abe, e ha le sue gatte da pelare alla Cutler Gleason and Chaough, ma sembra essere felice; Roger sta vedendo uno psichiatra, e continua a non trovare pace; Pete prova a fare il Don, senza riuscirci granché; Joan sembra aver trovato un equilibrio come madre single con madre, a sua volta, a carico; viene introdotto un nuovo personaggio, tale Bob Benson, un nuovo contabile alla Sterling Draper Cooper Pryce, che appare immediatamente come un personaggio totalmente viscido, un leccaculo alla massima potenza, deciso a farsi tutti amici pur di farsi una carriera.

Checché se ne dica in giro, Don Draper/Dick Whitman è uno dei personaggi più mastodontici che una mente cinematografico/televisiva abbia concepito (si, sto parlando con te Weiner). La "condanna" di chi si è appassionato ad uno show che, Game of Thrones permettendo, è una delle cose più belle che la televisione abbia partorito negli ultimi anni, è quella di essere obbligati a seguire Don in (quasi) ogni momento della sua vita, che di certo non è una bella vita, quantomeno dal punto di vista etico-morale, e, in misura minore, le vite di tutti quelli che gli girano intorno, e che in una maniera o in un'altra influiscono, o meglio subiscono, sulle/le sue decisioni.
E' vero che questa sesta stagione, un poco più di quelle che l'hanno preceduta, sembra spesso girare su se stessa: ma è più vero che mai che Don, così come Tony Soprano, come dicono in molti tra i ciritici attenti, non cambia mai veramente, e quindi si torna alla "condanna" dello spettatore e della serie della quale stiamo parlando. Certo però che quando si parla di "sceneggiatura ad orologeria", questa stagione andrebbe mostrata come esempio: alla luce di un episodio finale quale il tredicesimo In Care Of, tutto quanto acquista un senso, e lascia sbalorditi e attoniti di fronte non solo alla figura di Don, che fa in modo da avere sempre la meglio anche quando sembra avere la peggio, quanto davanti ad un tourbillon di bivi esistenziali, tutti generati dallo stesso Don, e per tutti quanti è ancora Don che spinge i vari personaggi ad imboccare quella o quest'altra direzione. E quindi si torna al dilemma che sempre scaturisce dalla visione di Mad Men (quest'anno riassunto mirabilmente dalla locandina): chi è Don Draper, o meglio, cosa rappresenta? Bene, dopo aver pensato per anni che Mad Men fosse una metafora sull'umanità, sul come siamo divenuti quelli di oggi, continuo a pensarlo. Don Draper e Mad Men non sono solamente la metafora del sogno americano, dove chiunque, da qualunque luogo, classe sociale, educazione, estrazione provenga, può affermarsi se ha talento e lavora sodo; sono l'emblema dell'umanità tutta, addirittura il simbolo dell'eterna lotta tra il bene e il male, della scelta di Eva davanti alla mela. Arrivare sempre più in alto, avere più cose possibile, la casa più bella, più in alto, l'ufficio più grande, il posto più prestigioso, avere più persone sotto il tuo comando, la moglie più invidiabile ma scopare anche quelle degli altri, impedire che anche le donne che non hai voluto possedere siano possedute da altri, dimostrare che tu sei più influente degli altri. Per cosa? Qual è lo scopo, se poi tua figlia maggiore realizza, a voce alta mentre è al telefono con te, che non ti conosce per niente?

Mad Men, mentre attraversa la storia (statunitense) della seconda metà del secolo scorso, e mostra perfino alcune delle conseguenze dei fatti salienti sulla gente comune, ci racconta una storia come tante (Bob Benson ne è la dimostrazione), ma ne fa la metafora della nostra anima, di fronte alla complessità e alle scelte della vita. Se ci aggiungete un reparto tecnico sopraffino, regie indovinate e un cast ogni volta più sorprendente, capirete come, alla notizia che la prossima stagione (anche se Weiner si è dichiarato disponibile a dividerla in due tranche, così come sarà per l'ultima di Breaking Bad) sarà l'ultima, se da una parte mi dispiaccio, dall'altra tremo al solo pensiero di cosa ci sarà dentro, e di cosa farà Don Draper.

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