No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20120105

Hoover




J. Edgar - di Clint Eastwood (2012)


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: l'omo che ha 'nventato le spie di vestura



John Edgar Hoover, nato (e morto) a Washington D. C. il primo gennaio 1895, è stato un importantissimo funzionario statunitense. Lavorò per il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d'America fin dalla prima guerra mondiale, passando presto in forza al BOI (Bureau Of Investigation), agenzia che cambiò un paio di nomi prima che, sotto la sua direzione, assumesse quello che conserva fino ad oggi, FBI, Federal Bureau of Investigation. Nelle sue mani, capaci, forti, tenaci, caparbie, ma pure capricciose, egocentriche, quasi maniacali, l'FBI è diventato una potenza capace di destabilizzare perfino il Presidente degli USA. Hoover rimane a capo dell'organizzazione fino alla sua morte, avvenuta il 2 maggio 1972, dopo 48 anni di comando, mentre a capo degli USA si erano succeduti ben otto presidenti.




Ebbe un rapporto strettissimo con la madre Anna Marie Scheitlin, non si sposò mai ma visse come in simbiosi col suo vice Clyde Tolson; questa cosa, i sospetti mai chiariti che fosse gay, uniti alla gestione non sempre cristallina dell'enorme mole di informazioni, i grandi successi nella lotta alla criminalità organizzata, l'uso disinvolto della violenza, i rapporti privilegiati ma pure contraddittori con i vari politici e i presidenti stessi, hanno da sempre generato molte leggende sulla sua figura, sia nel bene che nel male.



Eastwood, con la sceneggiatura del giovane Dustin Lance Black (ex mormone, attivista gay e specializzato in sceneggiature a proposito di personaggi gay, Oscar per la sceneggiatura di Milk), ci racconta circa 50 anni di vita di Hoover, da poco prima della creazione dell'FBI alla di lui morte.



E' un film scuro, questo J. Edgar, dove Eastwood e Black scelgono di dire e non dire: la gaytudine di Hoover non è dichiarata, rimane sottotraccia, anche se è evidente, e possiamo anche credere che sia davvero stata vissuta così (erano altri tempi, e come sostiene Black, Harvey Milk ancora non aveva "liberato" né lui, né altri gay); certo che, messa così, si è quasi portati a credere che tutta questa paranoia, questa tendenza ad accumulare segreti (suoi e degli altri), sia in gran parte dovuta al rapporto con la madre. Come che sia, se da una parte J. Edgar è senza dubbio un film ben girato, e che tenta di raccontare una figura importantissima per gli USA e, di conseguenza, per il mondo intero, con una ennesima sontuosa interpretazione da parte di Leonardo DiCaprio nella parte dell'assoluto protagonista (anche qui, perdonate la pedanteria, c'è da sottolineare che ci sarà da vedere come sarà doppiato in Italia; l'attore ha lavorato molto sul modo di parlare, cosa che "perderemo" nella versione italiana), dall'altra non l'ho trovato eccezionale, e con numerosi difetti. Il primo, il trucco, brutto, soprattutto nell'invecchiamento di Armie Hamer (vi ricordate i gemelli Vinklevoss di The Social Network?) nella parte di Clyde Tolson, assolutamente inguardabile (e che, mi è parso di vedere, creava qualche problema all'attore nei movimenti). Il resto, la mancanza di emozione che questo film trasmette, è forse dovuta alla figura stessa di Hoover, un personaggio talmente impermeabile, e pure un po' viscido, al punto che la sua figura non riesce a toccare nemmeno un po'. E pensare che è talmente ingombrante da offuscare, e lasciare senza spazio alcuno, le figure di contorno. Se sia colpa del regista o dello sceneggiatore, è difficile da dire, anche se propendo per una co-responsabilità dei due.


Questa freddezza generale, a mio giudizio, congela un po' anche gli spunti di riflessione, spunti che la gestione delle informazioni di questo tipo potrebbe e dovrebbe generare. Anche se è chiaro che stiamo parlando della same old shit: così è la politica, così è il potere, baby.


Poteva essere un biopic da urlo? Forse. A me pare "solo" un buon film, un'occasione per saperne di più su una figura comunque importante. Ci sarà sicuramente chi rimarrà maggiormente impressionato, dall'ultima fatica dell'uomo dalla cravatta di cuoio. A me ha lasciato, come detto, piuttosto freddino.



PS i truccatori nell'invecchiamento di DiCaprio si sono sicuramente ispirati a Marlon Brando.

3 commenti:

exit ha detto...

D'accordissimo sul trucco orribile di Tolson e sul riferimento piuttosto esplicito a Marlon Brando.

Anch'io in generale abbastanza delusa. Il personaggio è indubbiamente molto complesso e il film ambizioso. Solo Scorsese riesce a tenere insieme storie articolate su più livelli senza cedere a sbavature o cali di tensione. Almeno secondo me, che sono dichiaratamente di parte, nel senso che è da quando sono bimba che vado dicendo che Martin è il mio regista preferito ed è una delle poche cose su cui non ho cambiato idea. Un giorno scriverò un libro dal titolo: "La mia vita con Scorsese" :)))) Ma sono andata tremendamente off topic, sorry.

jumbolo ha detto...

mi raccomando non cambiare il titolo in "io e scorsese" perché ti citerei per plagio (io e i metallica) :))
e ti prego, non ti scusare se vai off topic, mi fa piacere quando riesco a farti scrivere!

Anonimo ha detto...

Mi trovo d'accordo con la tua recensione, soprattutto per l'orrido trucco. Brutto pure il doppiaggio. In generale, pero', non mi e' totalmente dispiaciuto. Insomma, se po' vede'!
Miki