No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20111003

Mildred



Mildred Pierce – di Todd Haynes (2011)
Miniserie in 5 episodi – HBO

Glendale, area di Los Angeles, California USA. Anni ’30: la Grande Depressione mostra i suoi segni, non così devastanti in quest’area, a dire il vero, ma morde ugualmente. Mildred Pierce, educata e testarda donna di casa, specialista in torte e dolciumi, che vende per arrotondare, è stanca del marito Bert, che sicuramente la tradisce e di sicuro non ha grande voglia di lavorare. Durante un litigio, lo sbatte fuori di casa e lo invita a trasferirsi dall’amante. Mildred rimane sola con le due figlie, Veda, la più grande, talmente piena di sé da sentirsi stretta in un ambiente che non giudica adatto alla sua persona, e Ray, ancora troppo piccola per avere difetti.
Da una parte c’è la necessità di guadagnare per far continuare la stessa vita alle figlie, dall’altra c’è una certa incapacità di fondo (Mildred, come le viene detto quando si presenta all’ufficio di collocamento, non ha mai fatto niente al di fuori dei lavori di casa), non ultima una punta di orgoglio che la porta a rifiutare un lavoro da domestica, Mildred si rende conto di essere alle strette, ed accetta senza riflettere troppo un lavoro da cameriera in una tavola calda. Quel lavoro cambierà il suo destino, ma la sua vita non sarà certo facile.

Riassumo brevemente: Mildred Pierce è un romanzo di James M. Cain del 1941, che aveva già avuto una trasposizione cinematografica nel 1945 (regia di Michael Curtiz, protagonista Joan Crawford che vinse l’Oscar); se vogliamo essere pignoli, è stato pure il titolo di un pezzo dei Sonic Youth (1990, Goo). HBO ha permesso a Haynes di farne un film, per la televisione, di 5 ore e mezzo abbondanti. Com’è questa miniserie? Bella, senza dubbio. Non perfetta, senza timore di smentita.
Haynes stupisce, viste le cose alle quali ci aveva abituato (Velvet Goldmine, Lontano dal Paradiso, Io non sono qui), in quanto mette in scena un dramma psicologico senza stranezze, particolarità o virtuosismi. Sembra quasi che si adatti a fare da una parte del grande cinema classico, dall’altra a fare grande televisione, sfruttando a pieno la possibilità di una lunga durata, soffermandosi su particolari che possono, secondo lui, interessare. Mildred Pierce è sopraffino, quanto a formalismi e tecnica. I movimenti di macchina sono stupendi, le ricostruzioni d’epoca e i particolari (costumi, auto, interni, case, panorami, ma anche le divise delle cameriere, le scarpe, i vestiti, le cravatte) perfetti. La fotografia pare adeguata, tendente al verde. Le recitazioni adatte, misurate quelle dei non protagonisti (e che nomi, tra i non protagonisti: Guy Pearce, Melissa Leo, Hope Davis), superbe quelle di Kate Winslet (Mildred Pierce), che ci ha vinto un Emmy (i più “cattivi” dicono che questa miniserie sembra fatta apposta perché lei ci riuscisse), e di Evan Rachel Wood (Veda Pierce da grande), che con questo ruolo sembra quasi approfondire, e rendere umano (ma ugualmente cattivo) il personaggio della regina vampira Sophie-Anne Leclerq di True Blood (fondendolo idealmente con quello che le diede la notorietà, la Tracy di Thirteen). Le schermaglie tra le due sembrano incontri di scherma.
E’ ridondante? Beh, questo si. Probabilmente la prima parte (diciamo i primi tre episodi) si dilunga un po’ troppo, rispetto a quanto rimane da dire nella seconda, e proprio negli ultimi due episodi ci sono delle cose che si rischia di non capire perfettamente. Ma, in definitiva, dipende tutto dal punto di vista. Quello che vede il bicchiere mezzo pieno, valuterà che per essere televisione, cinque puntate da ben più di un’ora di Mildred Pierce sono rigeneranti, e un esempio da seguire. Quello che vede il bicchiere mezzo vuoto, oppure anche solamente una persona equilibrata che segue le buone cose che vengono dalla televisione negli ultimi anni (purtroppo sempre da televisioni o comunque da produzioni estere), potrà senza problemi dire che ci sono delle sbavature, e delle cose che non convincono fino in fondo.
Di certo, Mildred Pierce merita la sufficienza. Non fosse altro che per quello che, alla fine, ci comunica senza scavare troppo: i soldi non fanno la felicità.

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