No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20110201

incendies


La donna che canta - di Denis Villeneuve (2011)

Giudizio sintetico: da vedere (4/5)
Giudizio vernacolare: tragedia gre'a

Quebec, Canada, oggi. Dopo la morte di Nawal, una donna libanese trasferitasi anni prima, appunto, in Canada, con i suoi due figli, Jeanne e Simon, gemelli, il notaio Jean Lebel, presso cui Nawal lavorava, convoca i due ragazzi per l'apertura del testamento. Simon, sempre nervoso, e Jeanne, più riflessiva, ascoltano le volontà della madre con crescente sgomento. A parte il lascito di tutti i suoi beni, la donna ha lasciato loro due buste, da consegnare a due persone a loro sconosciute: il padre e il fratello maggiore. La donna vuole che i figli ritrovino queste due persone, e fino ad allora vuole essere sepolta nuda, senza bara, nella terra, a faccia in giù, finché le buste non siano consegnate. Per lei pare una questione fondamentale: fino ad allora, non avrà pace.
Simon rifiuta l'idea, mentre Jeanne, seppur sbigottita, vuole rifletterci. Il notaio Jean, per il quale i tre sono parte della famiglia, si dichiara disposto ad aiutarli in ogni maniera.
Dopo qualche giorno, Jeanne parte per il medio oriente, alla ricerca di un passato sconosciuto, in un viaggio dove scoprirà chi era veramente sua madre, e il perché di gran parte dei suoi comportamenti fuori dall'ordinario.

L'anno 2011, già con il mese di gennaio, ci consegna un film che darà del filo da torcere a tutti quelli che verranno negli 11 mesi a venire. Candidato all'Oscar come miglior film di lingua non inglese, La donna che canta, titolo italiano profondamente diverso dall'originale Incendies, ma con un senso più che compiuto (come capirete vedendo il film), è un'affascinante trasposizione dell'omonima pièce teatrale di Wajdi Mouawad (libanese di nascita, québécois d'adozione), ispirata alla vita vera di Souha Fawaz Béchara.
Villeneuve (un cognome che garantisce grandi prestazioni, evidentemente) porta avanti le storie in una sorta di parallelo, che prende il via quando la figlia tocca il suolo che fu della madre, e senza espedienti particolari (una voce fuori campo avrebbe senza dubbio favorito la comprensione di alcuni passaggi particolarmente ostici per lo spettatore non attentissimo e, magari, poco preparato sulla storia del Libano), disegna la figura di una donna straordinaria, forgiata da un destino malvagio, che riesce, con un cuore e un carattere straordinari, a dare una vita migliore a due dei suoi tre figli, finché la presa di coscienza che il destino, ancora lui, le ha giocato uno scherzo devastante, toccandola nei sentimenti più che nel corpo, si spegne lentamente, ma decide, dopo che la fine sarà certa, di rivelare tutto, e di affidare alla forza dell'amore il suo ricordo. Paradossalmente (ma forse no), l'unico che ha intuito la grandezza della persona è più il suo capo, il notaio, che i suoi figli.
Nonostante la lunghezza (oltre due ore), necessaria per la quantità di eventi narrati, ed il ritmo non propriamente travolgente, La donna che canta ha il fascino del grande film e il sapore della tragedia greca. Mette insieme fascino cinematografico mediorientale, ad un certo sperimentalismo videoclipparo (l'incipit sulle note dei Radiohead, poi usati nuovamente più avanti), oltre a due grandi attori di estrazioni completamente diverse e due facce nuove piuttosto interessanti.
Un altro pregio, che alcuni recensori più attenti hanno già sottolineato, è che pur essendo un film tratto da un'opera teatrale, non si scorge neppure per un momento la provenienza: il respiro è perfettamente cinematografico, e, aggiungerei, che respiro!
Tornando per un momento sugli attori, Rémy Girard è il notaio Jean Lebel. Parte marginale, ma la sola presenza è una sicurezza: lo ricordiamo in molte parti nei film di Denys Arcand (Gesù di Montreal, Il declino dell'impero americano, Le invasioni barbariche).
Lubna Azabal è la meravigliosa interprete di Nawal, ed è veramente fantastica. Non è una novità per chi l'ha già vista in azione: ricordiamo, con lei, Paradise Now, Exils ed ancora più indietro nel tempo, Lontano di Téchiné.
I due gemelli, figli di Nawal, sono rispettivamente Mélissa Désormeaux-Poulin (Jeanne), non bellissima ma qui molto brava, e Maxim Gaudette (Simon), già con Villeneuve nel precedente Polytechnique.
Belle fotografia e musica (oltre ai Radiohead), indimenticabile la scena dell'autobus.
Un film che (vi) lascerà il segno.

2 commenti:

INDIPENDENT TRAVELLER ha detto...

Sconvolgente nel finale, bellissima la realtà interpretata in quel contesto geografico (avendolo percorso in macchina nel ' 95 un anno dopo la fine della guerra civile) per quello che è il significato degli atti e degli strascichi, che la guerra concepisce e lascia come eredità per le generazioni future.

jumbolo ha detto...

già. a parte questo, figata dev'essere stato un viaggio del genere!