No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100701

code 46


Codice 46 – di Michael Winterbottom 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: se finisse 'osì a Livorno ci s'ammazza tutti

In un futuro immediato, globalizzazione ed effetto serra portano alla creazione di due “caste” : quelli con la copertura assicurativa che vivono agiatamente, nelle grandi metropoli, inquadrati e sorvegliati, e quelli senza, che vivono “fuera” di espedienti, sotto il sole che ormai è dannosissimo.
Il codice 46 vieta l’accoppiamento tra persone che abbiano almeno il 25% di DNA uguale.

Winterbottom si cimenta con un genere ulteriormente diverso da quelli che ha finora sviscerato, e non se la cava per niente male. Sospeso tra “Blade Runner” (alla rovescia; notate la scena nella quale i due protagonisti rincasano all’alba e si proteggono dal sole come normalmente ci si proteggerebbe dalla pioggia) e “Strange Days” (questo con molta meno adrenalina), il film ha un buon intreccio, pur mancando di quel nichilismo che tanto giova ai cult-movie, ed è pregno di simbolismi e metafore, che atterriscono se ci fermiamo a riflettere sulla eventuale deriva che ci potrebbe portare nella direzione paventata dalla storia di Winterbottom.

Altre ragioni per vedere questo film, Mick Jones che canta “Should I Stay Or Should I Go” in un locale di Shangai e la scena finale sulle note struggenti di “Warning Sign” dei Coldplay.
Nonostante la Morton e Robbins siano ottimi attori, rimane il dubbio che, con altri due protagonisti più “carismatici”, il risultato potesse raggiungere, appunto, lo stato di cult.
Anche se, in effetti, è lo stesso regista che pare alzare il piede e premere un po’ troppo sul sentimentale.
Interessante comunque.

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