No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100416

کسی از گربه های ایرانی خبر نداره


I gatti persiani - di Bahman Ghobadi 2010

Giudizio sintetico: da vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: popo' di scena andergraunde ti cianno lì dé

Negar (lei) e Ashkan (lui) sono due musicisti di Tehran, appena usciti di prigione. Il loro "crimine" era, ed è, quello di suonare rock, tra l'altro cantato in inglese. Hanno agganci all'estero, e potrebbero facilmente suonare dei concerti in Inghilterra o in Francia, ma hanno un paio di problemi non da poco: gli serve una band, e gli servono passaporti e visti. Si mettono nelle mani di Nader, presentato loro a sua volta da un amico musicista e tecnico del suono, una specie di imprenditore/impresario/produttore, appassionato di musica come di cinema, che sembra conoscere tutti in città, e che promette loro di trovare tutto quello che manca alla coppia, convinto da mezzo minuto della loro musica.

Arriva in Italia l'ennesimo film di Ghobadi, curdo iraniano aiuto regista per Kiarostami ed attore per Samira Makhmalbaf (in Lavagne), autore solitamente di film dal respiro poetico, e chiaramente ispirati alla scuola iraniana, che qui si cimenta invece con una specie di mockumentary rock (o meglio, come ripetono quasi ossessivamente Negar e Ashkan, indie-rock). Arriva forte di una spinta critica internazionale fortissima (premio speciale della giuria nella sezione Un Certain Regard nel 2009 a Cannes), e per questo degno di un certo sospetto da parte mia (come ormai saprà chi mi segue).

Scritto dal regista insieme a Hossein Mortezaeiyan e alla fidanzata giornalista Roxana Saberi, divenuta famosa suo malgrado per essere stata arrestata in Iran l'anno passato, girato praticamente di nascosto, visto come preferisco, quando è possibile, in lingua originale, soprattutto perchè, come vi accorgerete se vi capita di confrontare un po' tutte le lingue al cinema, ma quelle diciamo orientali soprattutto, il doppiaggio uccide realmente il cuore pulsante dei personaggi (una scena come quella del "processo" a Nader è materialmente impossibile da riprodurre in un'altra lingua, credetemi), il film si conferma un lavoro molto interessante soprattutto per darci un'idea piuttosto chiara della realtà iraniana attuale, che, in pratica, somiglia molto a quella dei paesi del blocco sovietico prima del novembre 1989, e anche agli USA del maccartismo: un paese dove anche suonare musica rock è considerato poco consono, e per questo da una parte perseguito legalmente, dall'altra crea situazioni incredibilmente romantiche, non è una battuta, come quella che vediamo quando la storia ci mostra una band metal che prova in una stalla, mentre uno dei lavoratori della fattoria si lamenta per la perdita di latte delle mucche, dando la colpa al rumore della musica.
Il tono, grazie al regista, si mantiene perennemente giocoso e leggero, fino al finale, dirò solo un aggettivo, agghiacciante, la storia è un po' appesantita dai continui inserti musicali che sono sfruttati come videoclip sulla capitale iraniana e soprattutto la sua gente, e dagli spostamenti dei protagonisti in moto (che ricordano moltissimo Kiarostami), ma le facce dei partecipanti e la musica, grezza ma genuina (il pezzo hip-hop cantato nello scheletro di un palazzo in costruzione è al tempo stesso coinvolgente e commovente), rendono il tutto un lavoro degno di nota.
Menzione speciale per Hamed Behdad, l'interprete di Nader, vero protagonista del film e attore realmente bravissimo ad esprimere un ventaglio di emozioni con viso e corpo.

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