No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100328

immigrati


Dal nr. 686 di D la Repubblica delle donne e dal libro Grazie - Ecco perchè senza gli immigrati saremmo perduti, di Riccardo Staglianò, appena pubblicato dalla casa editrice Chiarelettere.

Perché si assumono volentieri gli immigrati (senza diritti)
di Riccardo Staglianò
Abderrahim Belgaid dice "nulla di particolare" a consuntivo del suo stato di salute attuale, che prevede che non muova affatto i piedi e quasi niente le mani, con la parziale eccezione della sinistra alla quale sta per subire l'ennesima operazione, una "trasposizione di muscoli per poterla usare almeno come una pinza" e che allena quotidianamente con una tenace fisioterapia. "Non riesco a tenere le cose, al più clicco sulla tastiera del computer e alzo una fetta di pane se qualcuno l'ha tagliata per me. Che devo dire? Niente. Così è e sto cercando di abituarmi". Non c'è nato sulla sedia a rotelle, ma ci trascorre giornate sempre uguali da oltre quattro anni. Era uno "splendido quarantenne" e stava benissimo, anzi curava gli sfortunati che capitavano nel pronto soccorso dove faceva l'infermiere. Sino a quel dicembre 2005 quando, col Natale alle porte, si era infine deciso ad andare a reclamare i tre mesi di stipendio che ancora gli dovevano. Lavorava alle Molinette di Torino, ma il suo datore non era l'ospedale pubblico ma la cooperativa Vita Serena. La fiorente azienda di Luca Giovannone, psicologo e imprenditore di successo amico di Francesco Storace oltreché, per otto surreali giorni, presidente del Torino Calcio, che recluta stranieri da impiegare come personale sanitario in Italia e all'estero. La sventurata conversazione avviene con il responsabile locale, Michele Arcuri, e termina con lesioni così gravi alla spina vertebrale di Belgaid da renderlo tetraplegico. Non è vero niente, ribatte l'uomo condannato in primo grado a sei anni (in appello ridotti a un anno e mezzo) e a 400mila euro di risarcimento, è caduto per fatti suoi e ha sbattuto la schiena su uno spigolo. Da allora è diventato il caso emblematico del funzionamento patologico di certe coop di personale sanitario. Quelle, numerosissime, che nella loro dimensione fisiologica fanno invece incontrare una volenterosa offerta con la domanda che il mercato interno non riesce a soddisfare.

"Stando ai parametri Ocse ne mancherebbero 60-70mila", mi dice la presidente dell'Ipasvi Annalisa Silvestro, "ma anche fermandoci alle nostre stime siamo sotto di 40mila". Il totale degli iscritti ai collegi professionali è di oltre 370mila persone e tra loro gli stranieri regolari sono 35mila, circa il 10%. "Ma non tirate un respiro di sollievo", avverte Silvestro, "perché le assicuro che se nel giro di sei mesi tutti i non italiani rientrassero nei loro paesi il nostro sistema andrebbe in ginocchio. Di quei 35mila infatti quasi 20mila si trovano al nord, con punte di uno su cinque in Lombardia e uno su tre in Piemonte".

Negli ospedali privati non ci sono limiti al loro reclutamento e le quote della loro presenza variano dal 18% del San Raffaele di Milano, dove si cura anche Silvio Berlusconi, al 50% dell'Istituto delle Figlie di San Camillo di Treviso. In quelli pubblici invece, salvo rare eccezioni giurisprudenziali, possono essere assunti solo a tempo determinato. Alle Molinette di Torino, probabilmente quello che ne ha di più, sono il 12%. Ai quali però vanno aggiunti quelli in subappalto che, pur inesistenti sulle buste paga, affollano le sue corsie. "Direi che un quinto della sanità piemontese è esternalizzata", stima l'avvocato Dario Gamba, difensore di molti infermieri intermediati e legale dell'Ipasvi torinese, "e in alcune Asl importanti anche un quarto". Significa che il personale mancante si cerca fuori dagli organici della struttura, a volte anche per gestire interi padiglioni o servizi. Se del reclutamento si occupano le grosse società di lavoro somministrato, tipo Obiettivo Lavoro o Adecco, il capitolato è molto chiaro, tutti sanno cosa va a chi, si può discutere della congruità delle fette ma non litigare. Se l'appalto lo vince una delle centinaia di cooperative che lottano all'arma bianca per spartirsi l'ultima grande torta della sanità può invece succedere di tutto, come dimostra il drammatico caso di Belgaid.

Neppure gli ospedali sono stati risparmiati dall'epidemia dell'outsourcing. Dalla sua mistica, ad essere precisi, per cui un dipendente è sempre un costo (da abbattere) e un subappalto un'opportunità (da cogliere). Non è servita neanche la puntata di Report in cui i giornalisti dimostravano, conti alla mano, che al Policlinico di Roma un infermiere in subappalto costa più di un interno. "Però se consideri veramente tutto, togliendo e spalmando la maternità, i permessi sindacali e gli altri diritti sacrosanti - e pagati - di uno strutturato", spiega ancora l'avvocato Gamba, "viene fuori che in media, negli ospedali pubblici, si lavora 12 giorni al mese. Ed è per questo conto totale che alla fine esternalizzare costa meno, in termini budgettari". Perché è una formula pay as you go, si paga solo per quello che si usa. Tutte le altre grane, malattie e ferie comprese, restano sul gobbo dell'appaltatore. Per questo gioco servono pedine flessibili e nessuno lo è più degli immigrati. Stando a un'indagine Ires-Cgil del 2006 il differenziale di stipendi tra chi lavora nel pubblico e chi lavora nelle cooperative variava dal meno 20% al nord al meno 42% del centro-sud. Belgaid, che ha conosciuto Vita Serena dall'interno, conferma e rilancia: "Nel mio caso, che avevo studiato qui, parlavo bene ed ero autonomo quanto a vitto e alloggio, la differenza era "solo" tra i loro 24-28 euro e i 17 che prendevo io. Ma c'erano rumeni e tunisini a cui Arcuri passava anche una stanza da dividere in quattro e qualcosa da mangiare cui, netti, entravano in tasca 6 euro all'ora". "Quello che i caporali hanno capito sin troppo bene", è il commento del legale Ipasvi, "è che, venga da Lima o altrove, l'infermiere esterno è un libero professionista intellettuale e come tale non ha un decimo delle tutele del dipendente. Può difendersi da solo, certo, ma se sei appena arrivato, non hai tutti i documenti in regola e parli anche male la lingua, non è così semplice. E se con un "contratto d'opera" ti impegni a portare anche il giornale tra i denti alla caposala, poi devi farlo, salvo inadempimento".

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