No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100214

studia bimba


An Education - di Lone Scherfig 2010


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: popò di stronzolo luilì dé


1961, Inghilterra. Jenny è una 16enne piuttosto inquadrata, ottimi risultati a scuola, intelligenza brillante, sense of humor, con due genitori severi. O meglio, la madre, Marjorie, fa semplicemente quello che ci si aspetta da una donna, non discute, mentre il padre, Jack, punta sulla figlia tutte le sue aspettative di scalata sociale, e si preoccupa che il latino, l'unica materia nella quale Jenny non eccelle, le sarà d'impaccio per il suo ingresso alla prestigiosa Università di Oxford, l'unica opzione contemplata da Jack per Jenny. Jack è frustrante non solo con la figlia, ma perfino con i suoi primi spasimanti: il dolce e impacciato Graham non viene considerato all'altezza.

Ma un bel giorno, in una giornata di pioggia a catinelle, nella vita di Jenny piomba David, quasi in punta di piedi, educatissimo, con una parlata lenta e bassa, mai a corto di argomenti senza essere un chiacchierone. Tutto comincia con un passaggio, e finisce col capovolgere la vita dell'innocente Jenny. Sembra incredibile, perchè David ha 30 anni, ma mica si nasconde: David già al primo appuntamento si presenta ai genitori di Jenny, e riesce a farsi dare ragione in qualsiasi occasione.

Jenny, che pensa solo a studiare ma sogna Parigi ascoltando Juliette Greco nella sua stanzetta, viene introdotta in un mondo parallelo, che mai sarebbe riuscita ad immaginare: aste di opere d'arte, concerti di musica classica, ristoranti ricercati, macchine lussuose, corse dei cani, bella vita. Gli amici di David, Danny, fascinoso "compare", ed Helen, bellissima quanto ignorante, aggiungono in un primo momento un senso di "squadra" al tutto, e neppure quando Jenny mette a fuoco che come si guadagnano la vita David e Danny non è del tutto legale, le mette paura.

Tutti si accorgono di quello che sta accadendole, soprattutto a scuola, compagne, insegnanti e preside, meno che i suoi genitori.


Sembra un film quasi divertente, questo An Education, e invece è interessante, e piuttosto difficile da capire fino in fondo. Forse addirittura la sceneggiatura di Nick Hornby, vivace ma in fondo un po' mono-tono, e la regia di maniera, puntuale, ma senza picchi, della danese Lone Scherfig (della quale ricordo il simpatico Italiano per principianti), concorrono a far si che si abbiano difficoltà a comprendere fino in fondo il "messaggio".

E' probabile tra l'altro che sia piuttosto difficile, anche per chi prova ad andare più a fondo nella cosa, comprendere se non si è inglesi e non si sa niente di quel periodo storico inglese, per lo più rimosso e dimenticato dagli inglesi stessi.

Andiamo per gradi. La sceneggiatura è scritta da Hornby basandosi sulle memorie della giornalista Lynn Barber, un lungo articolo, che narra la vicenda realmente vissuta, almeno così dice. Il nodo della storia sta nella fine, e qui, anche se siete tutti intelligenti e avrete capito senza neppure aver visto il film, sono costretto a rimanere sul vago per non fare spoiler, che sta tutto nella incredibilità dello spettatore verso l'ingenuità della protagonista e dei suoi genitori. Come dice correttamente, credo, Peter Bradshaw di The Guardian, mentre la Barber nelle sue memorie sostiene di non aver messo David (o chi per lui) con le spalle al muro per non essere considerata troppo bourgeois, Hornby pare invece suggerire che Jenny avesse paura di essere considerata troppo inglese, e quindi non abbastanza raffinata.

La questione è, come detto, interessante, soprattutto se vista alla luce, ancora una volta, come già accennato, del periodo storico, visto in retrospettiva dagli inglesi stessi come uno dei più bui della loro storia; bacchettoni, senza aspettative se non quella di avanzare socialmente e di fare soldi, incapaci di godersi davvero la vita. A questo punto, conscio di aver detto abbastanza, chiudo qui il capitolo, e lascio a voi la decisione.


Dal punto di vista formale, come detto la regia è un po' piatta, e in effetti gioca a nascondersi, soprattutto nella seconda parte; ma non pensiate sia così da buttare, anzi. La regista dimostra di riuscire a gestire gli attori molto bene, e a creare diversi momenti degni di nota: se devo indicarne uno, ci terrei a sottolineare la scena nella quale Jenny conosce David, davvero bella e piena di ironia, tra l'altro praticamente identica a come la racconta la Barber stessa, che ci fa definitivamente capire in quale momento storico siamo situati.

Una discreta colonna sonora, che non abusa di classici d'epoca, e una fotografia molto morigerata, lasciatemela definire così, molto grigia, quasi umorale; degli attori parliamone un momento di più. Da tutte le parti sentirete tessere le lodi della protagonista, Carey Mulligan, quasi 25enne abbastanza credibile nei panni di una quasi 17enne. In effetti, la ragazza, vista (curiosamente anche lì insieme a Rosamund Pike, qui Helen) in Orgoglio e Pregiudizio, è veramente portentosa. Per contro, a me piace sottolineare anche altri attori in parti meno in vista. Peter Sarsgaard è un David "giusto", con quel suo sguardo sempre un po' pieno di colpevolezza, e c'è da aggiungere che lavora diligentemente sull'accento inglese (ve lo dico quando riesco a vedere i film in lingua originale, soprattutto per sottolineare cose che vi perderete vedendoli doppiati, e per continuare a sostenere la mia personalissima "battaglia" sulla concessione di una "nicchia" che permetta agli appassionati di avere la possibilità di scegliere anche questa opzione). Interessante Olivia Williams nei panni di Miss Stubbs, curiosa Emma Thompson nei panni della preside cotonata, ma soprattutto un gigantesco (in tutti i sensi) Alfred Molina, nei panni di Jack, il padre di Jenny.


Finale conciliante, ma piuttosto amaro al tempo stesso.

4 commenti:

cipo ha detto...

Appoggio pienamente la tua battaglia per i film in lingua originale, naturalmente coi sottotitoli! Il doppiaggio aveva una sua ragione di essere nell'analfabetismo galoppante del dopoguerra; ma oggi a me sembra solo un fatto di pigrizia mentale e provincialismo (anche se i doppiatori italiani sono spesso molto bravi). Naturalmente non parlo solo dell'inglese: per fare un esempio banale, i personaggi di un film di Almodovar a me sembrano più autentici nella loro lingua originale anche se, non conoscendo lo spagnolo, devo aiutarmi coi sottotitoli.

jumbolo ha detto...

assolutamente. con lo spagnolo mi è successo alcune volte di aver visto un film (non solo di almodovar) in spagnolo, e poi di rivederlo doppiato in italiano, e di avere la netta sensazione che il film avesse perso il suo senso originale. ti giuro.

in questi ultimi tempi, la rete aiuta molto chi, come me, ha questa fissa, e devo dire che mi sto abituando malissimo. anche le serie tv, veramente, vederle in lingua originale e poi doppiate, non c'è paragone.

che i doppiatori italiani siano i migliori è appurato; c'è da dire che probabilmente l'italia è l'unico paese che doppia cosi pesantemente. qualche minuto fa c'era Hugh Grant da Fazio e stavano guardando dei trailer del prossimo "che fine hanno fatto i Morgan", e Hugh ha fatto una battuta sul suo doppiatore, dicendo che recita meglio di lui.
su questo, un paio di cose.
la prima, è proprio questo il punto: vogliamo capire se l'attore o l'attrice straniero/a è un cane/cagna. lo si capisce anche dalla voce. l'esempio della bellucci è lampante. è una figa stratosferica anche a oltre 40 anni, ma la voce è una delle cose che le ha impedito di diventare quantomeno un'attrice che ha lavorato tanto e fatto parti importanti.
seconda cosa, i doppiatori italiani doppiano tutto: film, serie, pubblicità, cartoni animati...avete rotto il cazzo.
terza: se siete cosi bravi, recitate e non rompete i coglioni (esempio lampante francesco pannofino, grande voce, doppiatore di Clooney, Washington, Banderas, Spacey, Hanks, ma portentoso Renè in Boris).

cosi, tanto per dire.

Anonimo ha detto...

Concordo sul troppo doppiaggio.
Ma la Bellucci non ha avuto tanti ruoli importanti per altri motivi, oltre che per la voce scadente. Penso alle ugole di Claudia Cardinale o Valeria Golino, due attrici che hanno fatto filmoni, sopratutto la Cardinale che all'inizio..eh beh, veniva doppiata.

Anna dai capelli rossi

jumbolo ha detto...

certo certo, era un esempio al limite, Anna. La Bellucci, a mio parere, avrebbe potuto "sfondare" essendo una figa da paura, anche non essendo troppo brava, se solo non avesse avuto ANCHE quel difetto.
Per il resto ottime annotazioni le tue, due brave attrici di due epoche diverse che in effetti hanno voci brutte e disturbanti, ma che evidentemente col tempo hanno imparato a "gestire".