No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080929

Italia si Italia no 1


Interessante anche questo, sempre da D la Repubblica delle donne nr. 615; ci troverete opinioni diverse, ma un paio di cose da condividere in pieno!



A GENNAIO TORNO A NEW YORK



SCRITTORI



L’Italia? Sta precipitando. Così Zadie Smith (foto) sceglie gli Usa. Gli autori stranieri, sempre più delusi dal nostro Paese, spiegano perché



di Benedetta Marietti


Pacchetto antimmigrati, persecuzioni dei rom, crisi Alitalia, immobilismo generale, emergenza spazzatura. Ce n’è da scoraggiare chiunque. «Due anni fa ho scelto di venire a Roma perché è una città bellissima», racconta in un italiano quasi perfetto l’anglo-giamaicana Zadie Smith, 34 anni e tre best seller, da due anni residente nella capitale col marito, anche lui scrittore, Nick Laird. «La gente è simpatica, mi piacciono la lingua, l’arte, i vecchi film. E poi sono stata attirata dalla spiritualità che si respira qui. Però, soprattutto con le ultime elezioni la situazione è precipitata: come se fossimo tornati agli anni Cinquanta. Così, oggi, ho voglia di fare le valigie». L’ha sostenuto di recente anche il settimanale americano Newsweek, quando ha messo lo Stivale in prima paginacol titolo “Italy’s mess”, ovvero il pasticcio italiano. Col sottotitolo: “Come un Paese così bello è diventato una disastrata area economica e politica dell’Europa”. Una volta artisti e scrittori venivano in Italia per il Grand Tour, un viaggio di iniziazione alla storia, un esercizio di apertura mentale. Ma oggi, passata la sindrome di Stendhal e l’innamoramento per le città d’arte, si annusa un’altra aria. Ci si accorge di vivere male, e potendo si scappa altrove. E pensare che la Smith, come pochi altri, ha avuto l’indiscusso privilegio di fare per un lungo periodo la writer in residence a Valdarno, dove Beatrice Monti della Corte, vedova dello scrittore Gregor von Rezzori, ha fondato “The Santa Maddalena Foundation”, residenza che ospita scrittori e botanici. Vista dalle dolci colline della Toscana, dove “la baronessa”, come è affettuosamente chiamata, ha istituito il premio Vallombrosa per la migliore opera di narrativa straniera, l’Italia pare ancora un paradiso, un posto perfetto per le vacanze. Ma viverla nella quotidianità, è tutta un’altra cosa. «Il problema principale è la mancanza di lavoro tra i giovani», accusa Gary Shteyngart. L’autore di Absurdistan (Guanda) non vede speranze concrete. Però chissà, alza le braccia. «Qui tutto è possibile e niente è possibile». Idem per Junot Diaz, Pulitzer 2008 (La breve favolosa vita di Oscar Wao, Mondadori), che è di origine dominicana, ex residente a Roma per una borsa di studio che ha lasciato. «Anche gli Stati Uniti, dove mi sono trasferito, stanno vivendo un periodo economicamente difficile. Ma da voi i giovani non vedono alcun futuro davanti a sé, perché non sono considerati veramente una risorsa». Meno male che ci sono il portoghese José Luis Peixoto (L’antidoto, Scritturapura edizioni), a ricordarci che «la confusione italiana è indispensabile per la creatività» e l’irlandese Colm Tóibín (Madri e figli, Fazi), che ha vissuto qui tanti anni fa, secondo cui «è il Newsweek a essere disastrato, e oltretutto scritto male». Gli altri non lesinano critiche. Dalia Sofer, iraniana, come Shteyngart ex writer in residence a Valdarno, autrice di La città delle rose (Piemme), si meraviglia del contrasto tra un passato grandioso e un presente asfittico. «Gli italiani mi sembrano come criceti in gabbia. Ed è paradossale, perché siete conosciuti all’estero soprattutto per la cultura, Michelangelo, Caravaggio, Dante. Forse l’eredità è una gloria, ma anche un peso. Lo si capisce camminando per Firenze. La città non è più quella di prima, sta ai margini del paese, ed è diventata quasi una parodia turistica di se stessa». In Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio (edizioni e/o) Amara Lakhous, algerino di 39 anni che vive a Roma dal 1995, ha esplorato il difficile rapporto di convivenza e integrazione fra popoli diversi, la paura e la diffidenza tutta italiana nei confronti degli stranieri. «C’è un’incertezza di fondo che non giova a nessuno», racconta dalla capitale, dove ha appena terminato un dottorato di ricerca sull’immigrazione musulmana in Italia. «Non c’è uno stato sociale forte, mancano gli asili nido, la gente non arriva più a fine mese, e a pagare il mutuo. E allora cosa fa? Scarica sui rom tutte le ansie e le frustrazioni, credendo di risolvere i propri problemi individuando un capro espiatorio. Prima era colpa dei marocchini, poi dei terroristi musulmani, degli albanesi e dei romeni. Oggi vanno di moda gli zingari, su cui si scatena la rabbia di un Paese. Che dimentica tutta la storia della propria emigrazione».




continua

1 commento:

Anonimo ha detto...

La copertina è qui

Quando dicono 'a Valdarno' credo che si debba intendere 'in Valdarno' ( a meno che non intendano Figline Valdarno, o San Giovanni, o Incisa...)