No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080805

corpi


Da Internazionale nr. 754, una riflessione sulle tradizioni "corporali" da parte di una scrittrice che ci piace.


Segni indelebili

di Cristina Ali Farah


In questo periodo si parla molto del rapporto tra corpo e potere, della parcellizzazione dell’individuo, della necessità di tutelare la dignità umana. Mi tornano in mente due recenti fatti di cronaca. Il primo è accaduto a giugno a Spresiano, in provincia di Treviso, dove una circoncisione malriuscita ha causato la morte di un bimbo di pochi mesi, figlio di una coppia nigeriana. Per fortuna i giornali hanno sottolineato che i genitori erano cristiani evangelici, scongiurando gli equivoci che spesso nascono quando si parla di pratiche apparentemente dannose o barbare. Bisogna ricordare che in molti paesi africani persone musulmane e cristiane convivono pacificamente, anche all’interno della stessa famiglia. Un fatto simile è accaduto pochi giorni fa, questa volta a Bari. Si denuncia spesso l’atrocità delle mutilazioni genitali femminili, mentre la circoncisione maschile sembra più accettata. Non voglio mettere a confronto le due pratiche, ma soffermarmi sul senso del dolore. È legittimo intervenire sul corpo di un neonato che non può dare il suo assenso? Lasciare un segno indelebile che porterà su di sé per il resto dei suoi giorni? Non ho mai avuto dubbi sull’opportunità di recidere il prepuzio: è una pratica che rifiuto sia per ragioni igieniche sia perché rappresenta un retaggio culturale maschilista. Ma negli ultimi anni mi sono spesso interrogata sulla questione. Poco tempo fa, una lunga discussione con una curatrice nigeriana che aveva effettuato una circoncisione (riuscita) mi ha fatto molto rilettere. Come cambia una consuetudine quando è sradicata dal proprio contesto sociale? Perché ci si indigna tanto di fronte alla violenza inflitta al corpo in alcune società tradizionali, mentre si chiedono performance intellettuali sempre più impegnative ai propri figli? Non è forse ipocrita il dibattito sull’inviolabilità dell’individuo, in un mondo dove il processo di separazione sempre più millimetrica di spazi, di specificità, di competenze pare irreversibile? I neonati, i bambini in generale, sono esseri fragili ed esposti alla violenza. Hanno bisogno della nostra presenza e di un humus sociale per crescere bene. Mi chiedo quali siano i processi accettabili in questi nostri universi complessi, dove la persona è come un atomo a sé stante, slegata da quello che la circonda. Forse dobbiamo cominciare dal principio. Ricomponendo i nostri corpi e quelli che abbiamo intorno.



CRISTINA ALI FARAH è nata a Verona nel 1973 da padre somalo e madre italiana. È vissuta a Mogadiscio dal 1976 al 1991. Dal 1996 vive stabilmente a Roma. Ha pubblicato racconti e poesie e ha scritto il romanzo Madre Piccola (Frassinelli 2007).

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