No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080616

estremisti in area di rigore 3




Un gol storico


Accanto al campo incontro Udi Robovich, ex stella del Beitar. Oggi gestisce una ditta di ricambi per auto a nord di Gerusalemme. “Faccio affari con Hamas, Fatah, con chiunque. Non ho problemi”, spiega. Quando giocava, negli anni cinquanta e sessanta, il calcio era motivo di orgoglio per un’intera comunità. Gerusalemme era una zona povera, la squadra era composta da dilettanti e il campetto della Ymca era in terra battuta. La parte occidentale della città era tagliata fuori dal centro e molto distante, fisicamente e culturalmente, dalle località sulla costa, il vero cuore del nuovo stato d’Israele. Le divisioni che regnavano a Gerusalemme – tra askenaziti e sefarditi, tra il Partito laburista e l’Herut (predecessore del Likud), tra l’establishment e i cittadini comuni – influenzavano anche la rivalità tra Hapoel e Beitar. Avere la tessera dell’Hapoel era una scorciatoia per ottenere un lavoro e l’accesso ai servizi pubblici. Ma molti tesserati della squadra di sinistra passavano la domenica sulle tribune del Beitar. Dove si incontravano anche diversi arabi: una cosa che oggi sarebbe impensabile. Il destino del Beitar, come quello di Gerusalemme, cambiò con la guerra dei sei giorni nel 1967. Gli israeliani conquistarono l’intera Gerusalemme est e allargarono i confini municipali fino alla Cisgiordania. Da città provinciale, Gerusalemme si trasformò nella capitale eterna di Israele. L’anno successivo Robovich segnò il gol che portò per la prima volta il Beitar nella prima serie israeliana. Dieci anni dopo la squadra aveva consolidato la sua posizione al vertice del calcio nazionale, mentre il Likud era salito al potere con Menachem Begin, un ex comandante dell’Irgun. Le fortezze del calcio e della politica erano state espugnate, e il Beitar cominciò a essere considerato una normale squadra di calcio. Ancora oggi sugli spalti può capitare di incontrare dei membri del Likud, per esempio Benjamin Netanyahu. Nei giorni in cui si giocano le partite le strette strade che portano allo stadio sono affollate da colonne di macchine e autobus di tifosi in arrivo da tutto il paese.


La rivoluzione di Gaydamak


Quarant’anni dopo la guerra dei sei giorni, Gerusalemme e il suo calcio sono totalmente diversi. I laburisti hanno governato la città con Teddy Kollek fino all’inizio degli anni novanta. Ma da allora
i figli della sinistra hanno abbandonato Gerusalemme, per stabilirsi nei quartieri dormitorio simili a fortezze costruiti in periferia. Gli ultraortodossi sono sempre più numerosi. E oggi sono talmente forti e disciplinati politicamente che né il Likud né il Labour hanno il coraggio di presentare un candidato per sfidarli alle prossime elezioni comunali, che si terranno a novembre.
Mentre il Beitar diventava sempre più competitivo, l’Hapoel perdeva posizioni, fino a retrocedere nelle serie inferiori. Con i tifosi delusi e i dirigenti al colmo dell’insofferenza, l’anno scorso è cambiato tutto: gli sportivi di Gerusalemme vicini alla sinistra hanno preso la difficile decisione di fondare un nuovo club. Quasi tremila persone hanno aderito al progetto dell’Hapoel Katamon, ultimo bastione della sinistra ebraica secolare nella capitale israeliana, che oggi milita in quarta divisione. Nella parte alta delle tribune dello stadio dove gioca questo piccolo club si incontrano scrittori, professori e uomini d’affari. Più in basso siedono i loro figli, gli amici, e i loro familiari.
Le partite in casa dell’Hapoel sono sempre le più affollate tra quelle delle categorie inferiori: l’energia e l’attaccamento alla squadra dei tifosi sono straordinari. Ma sulle gradinate di un grande stadio i supporter dell’Hapoel sembrano quasi sotto assedio. Nel corso degli anni anche
il Beitar ha avuto le sue difficoltà. Come è successo all’Hapoel, il club è stato a lungo mal gestito, fino a trovarsi sull’orlo del fallimento. Per salvare la squadra, i dirigenti si sono dovuti rivolgere ai loro referenti politici. Nei primi anni novanta, dopo la firma degli accordi di Oslo, i tifosi del Beitar hanno assunto posizioni sempre più radicali contro gli arabi e in difesa dei coloni. Qualche anno dopo gli ultrà si sono organizzati in un gruppo unico, la Familia, che ha imitato il modello italiano di organizzazione del tifo. Tuttavia il Beitar non era ancora ai vertici del campionato, sempre guidato dalle solite squadre, il Maccabi di Haifa e il Tel Aviv. Le cose sono cambiate con l’arrivo di Arcadi Gaydamak. Su quest’uomo d’affari di origine russa e dai mille passaporti (di solito viaggia con quello diplomatico angolano) pendono, in Francia e altrove, diverse accuse: dal riciclaggio di
denaro al traffico d’armi. In Israele Gaydamak ha investito nel mercato dei mezzi di comunicazione, nell’industria alimentare e nei supermercati. Il Beitar è stato tra i suoi primi acquisti e, grazie all’ingaggio dei più forti giocatori della nazionale israeliana e di alcuni stranieri,
nel 2007 è diventato campione d’Israele. Non contento di aver messo sottosopra il mondo del football, Gaydamak ha deciso anche di darsi alla politica. Durante la seconda guerra del Libano, nel 2006, ha fatto montare una tendopoli su una spiaggia del Mediterraneo per ospitare gli abitanti delle città di conine assediate. Quando Sderot, nel sud del paese, è stata bersagliata dai razzi qassam provenienti da Gaza ha fatto lo stesso. Poi, alla metà del 2007, ha creato un partito
politico, Giustizia sociale, e ha dichiarato di volersi candidare alla carica di sindaco di Gerusalemme oltre che alla Knesset, nelle elezioni del 2009. Finora il suo partito è stato poco più che una sigla, ma ora sta prendendo forma. Quando abbiamo provato a chiedergli un’intervista, il presidente del Beitar ha rifiutato e il suo brusco portavoce ci ha spiegato che nessun altro era autorizzato a parlare del partito. Consegne che però l’ufficio di Mosca di Gaydamak probabilmente ignora: grazie a loro, infatti, abbiamo incontrato il consigliere giuridico dell’uomo d’affari nel nuovo quartier generale del partito, un vecchio edificio industriale a Tel Aviv.
Il nostro consigliere, chiamiamolo N., ha la testa completamente rasata e occhi penetranti di color azzurro chiaro. Indossa una maglia bianca a collo alto attillata e un blazer con i bottoni dorati. Ha
un orecchio mutilato, e sull’altro porta un orecchino di diamanti. Cerco di farmi raccontare com’è nato il partito (una brillante idea del capo), come funziona il tifo organizzato del Beitar (pochi e mal organizzati) e il programma politico di Gaydamak: semplice populismo che ha la pretesa di avere una politica estera. Invece di rispondere, N. estrae il portatile e ci mostra una serie di foto di quando era nei corpi speciali dell’esercito. Poi ci racconta che Arcadi è un filosofo, un profondo pensatore e un gvir, il capo dello shtetl, il vecchio villaggio ebraico dell’Europa orientale in lingua
yiddish. Forse ci incontrerà, forse no: difficile prevederlo. N. poi si lancia in un racconto sconclusionato su alcuni oligarchi che tronca improvvisamente con un proverbio russo: “Se mi vuoi scopare, prima devi baciarmi”. Gli uomini dello staff di Gaydamak hanno un’opinione molto alta dell’importanza del proprio capo e troppa fiducia nella sua capacità di trasformare la
ricchezza in potere. Ma in realtà Gaydamak non è poi così potente. I sondaggi gli attribuiscono il dieci per cento delle intenzioni di voto per le elezioni comunali di Gerusalemme. Certo, il magnate russo possiede il Beitar, ma agli ultraortodossi il calcio non interessa. Al voto politico del prossimo anno, invece, il suo partito potrà ottenere al massimo otto o nove dei 120 seggi della Knesset, e riuscirà tutt’al più a esercitare qualche inluenza usando i voti dei suoi deputati per appoggiare questo o quello schieramento nel frammentato sistema partitico israeliano. Al momento, una rimonta laburista sembra improbabile e Kadima, il partito del premier Ehud Olmert, è logorato dagli anni trascorsi al potere. Neanche il Likud di Benjamin Netanyahu è in gran forma, ma con il sostegno dei partiti religiosi, degli ultranazionalisti russo-israeliani del partito Israel Beitenu e di
Gaydamak, potrebbe guidare il governo di destra più estremista della storia di Israele.


continua

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