No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080519

metronomi


Battles, Bologna, Estragon, 7 maggio 2008


Ad essere onesti, andare a vedere un concerto di mercoledì a Bologna, partendo appena usciti da lavorare, anche se il giorno dopo lo prendi di ferie, è roba da matti. Ma, dopo averne parlato così, come potevo esimermi? E allora eccomi qua, in questa primaverile serata di questo maggio che non vuol decollare, col fido Mazza al mio fianco, dentro un Estragon che, non ci credevamo, si riempirà per una buona metà, al banco del merchandising a decidere se vale la pena comprarsi una T-shirt.

Per la cronaca spicciola e molto underground, ci sono anche due Offlaga. Così, per dire. Pubblico, come sempre più spesso accade, molto variegato. Inizio ad un'ora praticamente inaccettabile, quasi le 23,00, e in pratica maledico chiunque abbia avuto questa brillante idea. Arrivano (anche se Tyondai, il ricciolone, per intendersi, si è già visto sul palco un paio di volte) e li inquadro come ragazzoni americani che sembrano appena usciti da un College, ma hanno sui 40 anni. Post-nerd. C'è chi li definisce math-rock, ma se si definiscono così anche i Dillinger Escape Plan c'è qualcosa che non quadra. Qui il metal c'entra davvero poco o niente, ma tant'è: abbiamo bisogno di etichette.

David, che si alterna tra basso e chitarra, dà spesso le spalle al pubblico, immerso com'è nella sua creazione di groove. Ian, dinoccolatissimo, come Tyondai si divide tra chitarra e tastiere. John, ex Helmet, è il fulcro dei Battles: pare che faccia fatica a respirare, in alcuni frangenti, tanta è la sua foga percussiva. Non lesina l'uso di tom e timpano, tantissimi controtempi sul rullante, col quale gioca in alternativa al charleston (sono legato ai nomi antichi), un unico piatto tenuto altissimo, quando termina le rullate (non sempre), per suonarlo sembra si arrampichi su un fianco di una montagna, ma lo fa velocissimamente. Una maniera come un'altra per smentire chi ancora è convinto che l'uso massivo dei piatti sia fondamentale quando si suona la batteria.

La scaletta è indovinata. Si parte con pezzi un pochino meno immediati, anche se parlare di pezzi immediati con i Battles appare un vero controsenso, per arrivare nella parte centrale del concerto, che durerà un'ora e dieci circa, pausa compresa, ai pezzi più acclamati ed attesi, parlo di Tonto e di Atlas; ma, per dire, non è che Leyndecker o l'indiavolata Race Out siano meno apprezzate.

E' un tourbillon strumentale vorticoso ma appassionante quello dei Battles, musicisti tecnicamente spaziali, che confermano dal vivo la loro maestria quasi jazzistica, che si fonde col furore rock (o post-rock), e che crea un vortice sensitivo che ti trascina dentro la loro spirale.

Perfino le voci da cartoon che Tyondai "inventa" con microfono ed effetti (perfettamente identiche a quelle udite su disco) risultano funzionali. Non sgarrano e, per una volta, il fatto che non sbaglino una nota non li rende meno umani. Sudano copiosamente e coinvolgono il pubblico con ritmi forsennati che ti prendono direttamente allo stomaco.


Una bella esperienza, vederli live, e concludiamo che si meritano decisamente una T-shirt da acquistare, anche se non sono proprio il massimo dell'eleganza sobria. Vado, che la Firenze-Bologna mi aspetta.


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