No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080530

la dolce vita degli islandesi 4




L’arte come rifugio



Il successo dell’Islanda deriva dalla predisposizione al lavoro, dalla creatività e dalla fiducia, tipicamente americana, nella possibilità di trasformare le idee in realtà. “Molti di noi hanno vissuto e studiato negli Stati Uniti”, spiega Geir Haarde, “e dagli americani abbiamo imparato
che se ci si impegna a fondo tutto è possibile”. Svafa sembra la personificazione di quest’atteggiamento: ammira la civile generosità dello stato islandese, ma lavora sodo per raggiungere i suoi obiettivi con un ottimismo incrollabile. Uno spirito simile è alla base del successo della Reykjavik Energy, la compagnia che fornisce agli islandesi acqua calda ed
elettricità. Con un’attenzione per l’ambiente molto poco statunitense, l’azienda ha dimostrato una grande capacità d’innovazione scegliendo di scavare in cerca d’acqua un chilometro sotto la superficie terrestre, dove raggiunge temperature di 200 gradi centigradi. Nel 1940 l’85 per cento dell’energia islandese proveniva dal carbone e dal petrolio, mentre oggi arriva dall’acqua
vulcanica sotterranea, che, dopo aver attraversato enormi turbine in impianti ad alta tecnologia e non inquinanti, soddisfa la metà del fabbisogno del paese a un prezzo pari a due terzi di quello pagato mediamente in Europa. Il risultato è che l’Islanda ha il più grande sistema di riscaldamento geotermico del mondo, preso a modello da molti altri paesi. Di recente i primi ministri di Cina e India sono stati in Islanda per studiare le possibilità offerte dalle energie pulite, e la Reykjavik Energy sta partecipando a progetti per esportare il suo modello in Gibuti, nel Salvador e in Indonesia. Il successo di Reykjavik Energy è una metafora del successo dell’intero paese: è basato infatti sulla capacità di dominare la natura per trasformarla in energia, attraverso il lavoro e l’ingegno. Gli artisti islandesi hanno fatto qualcosa di simile. Il paese brulica di scrittori, pittori, cineasti e musicisti. Björk, per esempio, è islandese, e da Reykjavik arrivano anche un’orchestra sinfonica che suona nelle migliori sale del mondo e un’ottima compagnia d’opera. Tra i dieci nuovi talenti più promettenti del mondo la rivista Variety ha inserito il nome di Baltsar Kormakur, un ex attore di soap opere televisive diventato regista cinematografico. Gli islandesi, poi, sono tutti scrittori, forse ispirati dal grande patrimonio letterario nazionale delle saghe vichinghe duecentesche, e anche la pittura è una passione diffusa, al punto che gli artisti che riescono a vivere del loro lavoro non sono meno di un centinaio. Haraldur Jonsson è scultore, pittore astratto e video-performer. In un inglese migliore di quello della maggior parte dei britannici mi spiega che il suo obiettivo, è “rendere visibile il mondo invisibile”, trasformare le emozioni in oggetti da vedere e toccare. Ma cosa rende gli islandesi così creativi?, gli domando. “Facciamo arte per non impazzire, per tenere a distanza la bestia”. La bestia? “Sì, l’Islanda,
quest’isola su cui viviamo, con la sua natura spaventosa e il suo clima difficile e imprevedibile. Qui è come nel mondo degli incubi di Goya: tutto è meraviglioso e grottesco. Viviamo su un’isola, insieme a una bestia invisibile. Non possiamo fuggire, dobbiamo conviverci, domarla. Io lo faccio attraverso l’arte”, spiega Haraldur, che nel tentativo di ammansire il mostro ha scritto anche tre libri. “Qui non ci sono animali né alberi. Abbiamo bisogno di una ricca vita interiore per riempire gli spazi vuoti e il silenzio con il nostro stesso rumore”. C’è un’altra bestia con cui l’Islanda è
in debito: la seconda guerra mondiale. Gli islandesi sono l’unico popolo al mondo a cui Adolf Hitler ha lasciato un’eredità positiva. Prima della guerra, l’Islanda era il paese più povero d’Europa. All’improvviso, nel 1939, diventò un luogo di grande importanza strategica, conteso tra tedeschi e britannici. Alla fine ebbero la meglio i britannici, che stabilirono una base militare su una lingua di terra vicina alla costa di Reykjavik. “Il loro arrivo creò molti posti di lavoro che, per la prima
volta nella storia del paese, non avevano nulla a che fare con la pesca e l’agricoltura”, ricorda Asvaldur Andresson. “Prima della guerra praticamente non c’erano strade. Poi sono arrivati gli inglesi e gli americani, e hanno portato scavatrici, strade asfaltate e attrezzi da lavoro moderni”. Asvaldur, che è nato nel 1928 in un paesino di pescatori a Seydisfjördur, nell’estremità orientale
dell’isola, è emigrato a Reykjavik alla fine della guerra e ha trovato lavoro come conducente di autobus alla base americana, prima di mettersi a riparare automobili. La sua è stata una vita dura, soprattutto da bambino, quando l’Islanda era uno dei paesi peggiori dove vivere: arretratezza da terzo mondo e condizioni climatiche difficilissime. A dodici anni Asvaldur lasciò la scuola e andò a lavorare su una nave da pesca. Nello stesso anno perse il padre, mentre sua sorella era morta di pertosse quando lui aveva tre anni. Per dar da mangiare alla famiglia ha lavorato 16 ore al giorno per una vita intera, e con i soldi risparmiati è riuscito anche a costruirsi una casa di due piani. Oggi si occupa a tempo pieno della moglie invalida, e per farlo riceve un sussidio dallo stato. “Se penso al passato, quasi stento a credere quanto sia cambiato questo paese”, afferma Asvaldur, offrendomi delle tartine che ha preparato per la moglie. Mi racconta delle sue tre nipoti, ormai adulte: una gira documentari a Parigi, un’altra è esperta di biotecnologie e lavora in un ospedale di Reykjavik, mentre la più grande, che ha 26 anni, si sta preparando a diventare una pilota d’aerei per la Ryanair. Asvaldur e sua moglie hanno già cinque bisnipoti: bambini che sicuramente cresceranno circondati da amore e attenzioni e potranno beneficiare di un’ottima istruzione. Soprattutto se saranno allievi della scuola Háteigsskól, a
Reykjavik, che ho visitato con la guida del direttore, Asgeir Beinteinsson. Gli studenti, che hanno dai 6 ai 16 anni, seguono una grande varietà di corsi obbligatori, dalla cucina alla falegnameria
passando per le materie più tradizionali. La cosa che più stupisce, però, è la fantasia e la creatività degli insegnanti e la loro stretta collaborazione con i genitori. Ai più piccoli la storia e la scienza vengono spiegate attraverso il teatro, che è usato anche per le lezioni di biologia: nelle recite i bambini interpretano il ruolo del cuore, dei polmoni, dei reni. Inoltre, un insegnante
ha il compito di raccogliere e analizzare in dettaglio i risultati delle ricerche e degli esercizi svolti periodicamente dai ragazzi per garantire che la scuola abbia sempre un buon livello di
insegnamento. I risultati (discussi da studenti, genitori e docenti) sono valutati sotto tutti i
punti di vista: dalla qualità dell’insegnamento all’opinione degli studenti sulle strutture della
scuola. Tutte le informazioni sono sempre a disposizione dei genitori su internet. “Cerchiamo di stimolare i bambini dandogli una buona istruzione di base”, spiega Asgeir, “e puntiamo a creare un ambiente accogliente e creativo”. Dietro questa filosofia dei buoni sentimenti c’è una profonda
riflessione, alimentata anche dall’abitudine, tutta islandese, di andare in cerca di idee e spunti lontano dal loro paese. Due insegnanti che ho conosciuto erano appena stati in Inghilterra, dove avevano visitato un distretto scolastico di Birmingham all’avanguardia. Anche Asgeir ha
viaggiato. È stato in Danimarca, Scozia, Stati Uniti e Singapore, e la settimana in cui l’ho conosciuto stava per andare a New Orleans. Tutti i docenti hanno l’opportunità di prendersi un anno sabbatico, completamente retribuito, per studiare e fare aggiornamento.




Foto tratta da qui

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