No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080410

peace sells...but who's buying?



Banche e armi, «business as usual»

Unicredit nel mirino dei pacifisti. E Amnesty denuncia: nascosti tre milioni di spese in AfghanistanLa tabella riproduce la spesa in armamenti delle banche negli ultimi anni. La fonte è la relazione annuale del governo al parlamento.

Stefano Milani
Banche italiane sempre più armate. I dati emersi dall'ultimo rapporto annuale della Presidenza del consiglio relativo all'interscambio di prodotti militari rimangono allarmanti e sbugiardano tutte quelle promesse di diminuzione sugli investimenti bellici che ogni anno gli istituti di credito vanno dicendo e che puntualmente non mantengono. La cifra investita anche nel 2007 è enorme: 1.224,8 milioni di euro. A guidare questa classifica poco onorevole è l'Unicredit con 183,27 milioni di euro messi sul piatto solo lo scorso anno. Exploit, da parte del gruppo bancario amministrato da Alessandro Profumo, dopo la nascita del nuovo gruppo e la fusione con Capitalia, da sempre leader del mercato nell'industria d'armi. Diminuiscono leggermente, invece, le operazioni del gruppo Intesa SanPaolo, terzo con 144,5 milioni di euro.Per Giorgio Beretta, coordinatore della campagna banche armate, la preoccupazione maggiore viene invece dalla «crescita di operazioni di istituti esteri come Deutsche Bank (173,9 milioni di euro), Citybank (84 milioni), ABC International Bank (58 milioni) e BNP Paribas (48,4 milioni)» a cui vanno sommati i valori dell'acquisita BNL (63,8 milioni). «Se siamo riusciti a portare diverse banche italiane ad esplicitare una policy precisa e il più possibile restrittiva in questa materia - continua Beretta - dobbiamo creare la stessa azione di pressione sia in Italia sia negli altri paesi europei per quanto riguarda le banche estere».Pressione verso le banche ma anche verso il governo italiano, visto che anche nel 2007 ha continuato ad aumentare l'export di armi nel mondo. Più 9,4% rispetto all'anno precedente, che tradotto in euro sono 2.369 milioni di euro. Cifra che arrotonda l'impennata di due anni prima, quasi il 61% in più sul valore delle licenze di esportazione rilasciate dal ministero degli Esteri.A rimpinguare le casse dello Stato ci pensa direttamente il regime pakistano di Islamabad che solo nel 2007 ha comprato armi made in Italy per un valore di 471,6 milioni di euro, grazie alla costruzione dei missili contraerei di tipo Spada-Aspide commissionati alla Mbda, una società controllata da Finmeccanica. Segue la Turchia (174,6 milioni), la Malaysia (119,3) e l'Iraq (84). E proprio il Pakistan e la Turchia sono stati oggetto nei mesi scorsi dell'attenzione di due specifici comunicati di Rete Disarmo che, in considerazione delle tensioni interne e delle politiche militari dei due paesi, aveva esplicitamente chiesto al governo italiano una sospensione delle esportazioni di armi italiane. Tra le nazioni Nato/Ue che commissionano armi al nostro paese vanno ricordate invece la Finlandia (250,9 milioni di euro), Regno Unito (141,8), Stati Uniti (137,7), Austria (119,7) e Spagna (118,8).All'appello manca però l'Afghanistan. «Le armi italiane vengono comprate da Kabul ma non è lecito sapere chi è l'acquirente», denunciano in una una nota la sezione italiana di Amnesty International e la Rete italiana per il Disarmo. Nota inviata qualche giorno fa anche al presidente del Consiglio, Romano Prodi, in occasione dell'ultimo vertice Nato a Bucarest, ma che è passata inosservata. Nel comunicato congiunto le due organizzazioni si dichiarano «allarmate» per il dato riguardante le esportazioni italiane di «armi, munizioni e loro parti ed accessori» all'Afghanistan che, secondo i dati Istat, ammonterebbero a 3.189.346 euro per il quinquennio 2003/2007 e chiedono «maggiori dettagli sulla tipologia e sulla destinazione» e «se il governo italiano abbia valutato l'impatto di tali esportazioni sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan».«Due cose sono certe - commenta Giorgio Beretta - sono state tutte esportate da ditte della provincia di Roma e non si tratta di armi ad "uso militare", che potrebbero essere state inviate all'esercito afghano, in quanto l'Istat non riporta le esportazioni di questa tipologia di armi. Ma non per questo sono meno letali perché sistemi d'arma semiautomatici e small arms di un certo calibro sono di fatto equiparabili a quelle vendute agli eserciti».


Preso da qui


Per approfondimenti: http://www.banchearmate.it/

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