No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20070723

italia wave


Kaiser Chiefs + Avion Travel + Mika + Tinariwen + CSS, Sesto Fiorentino, Italia Wave, 19/7/2007


Nuova location per il "Love Festival". Due parole sul fatto: tutto ben organizzato, ma parcheggi molto distanti dall'area dei concerti, aree ampie e dove l'erba si brucia subito (non è un'allusione), quindi si sprigiona da subito un gran polverone. Uno sbaglio passarci con l'autobotte e annafiare, si crea fango. Un punto da mettere a posto per il prossimo anno. Campeggio brullo, in tutta l'area, compresa quella concerti c'è un solo albero, ma non si può avere tutto. Si perde il fascino dei palchi in mezzo alla città (Arezzo), ma si va verso una dimensione europea del festival, un happening che si può vivere in maniera rilassata avvicinandosi ai palchi quando e come si è interessati.


Il problema, però, è un altro, e sono alcuni anni che ci penso: è un festival fatto per chi non lavora. Oppure prende un periodo di ferie in occasione. Impossibile altrimenti, anche se si abita relativamente vicini, come me (diciamo 100 km), riuscire a seguire tutti i concerti, da mattina a notte inoltrata (il gruppo principale di tutte le serate iniziava il set ben oltre la mezzanotte. Scusate se sembrerò vecchio decrepito, ma questo preclude il festival stesso a una buona fetta di pubblico.


Detto questo, veniamo alla musica. Arrivo con le C.S.S. (Cansei de Ser Sexy, dal Brasile) che sgallettano già sul palco del Main Stage e propongono la loro musica insopportabile. Abbigliate quasi da carnevale (ma non quello di Rio), sboccate anche in italiano, un classico caso di montatura da stampa specializzata.


Ci avviamo senza vedere la fine del set, decisamente verso il Global Stage, dove tra poco ci sarà l'evento vero di tutto il festival, per me: il concerto dei touareg malesi Tinariwen, mentre il sole tramonta svogliato. Arrivano alla spicciolata sul palco, avvolti nei loro abiti tradizionali e nei loro turbanti da cavalieri del deserto, e fin dalle prime note si capisce il perchè il loro Aman Iman (Water Is Life) è uno dei dischi più belli, sorprendenti, avvolgenti, decisivi e definitivi dell'anno 2007. L'atmosfera è realmente magica, l'uso che fanno delle chitarre è al tempo stesso tribale e moderno, sa di mille e una notte, di blues, di rock, di globalizzazzione buona, di quell'antico che fa bene, di qualcosa che si lancia nella modernità con un occhio attento al passato non della musica, ma dell'uomo, che odora di tradizione fiera, che non abbassa la testa anzi, ma la tiene ben dritta, consapevole della superiorità della tradizione che non si ripiega su se stessa. Dite che esagero? Provate a vedere un loro concerto e ne riparliamo.

Sono sette in tutto, ed è un peccato perchè, non so per quale motivo, manca la bellissima cantante (non indispensabile però nell'economia dei loro pezzi, anche se non avrebbe certo indebolito l'impianto sonoro); in quattro si alternano alle chitarre e alle voci, mentre il leader esce solo per alcuni pezzi (per intenderci, quello che nelle foto è l'unico senza turbante, che da vicino sembra l'anello di congiunzione tra il Neanderthal e il Sapiens, con i capelli che sembrano quelli di Jimi Hendrix ma pieni di sabbia del deserto), un bassista che spesso ha anche la faccia coperta dal turbante e che imbraccia un basso da destri alla rovescia, essendo mancino (ovviamente con le corde invertite), ma che lo imbraccia come si tenesse tra le mani una scimitarra, e un percussionista di djambé portentoso, che sorregge la sezione ritmica, insieme ai battiti di mani in levare, che caratterizzano tutta la musica dei Tinariwen. Il set è irresistibile, con alcuni pezzi dal nuovo disco che impediscono a chiunque dallo stare fermi (Tamatantelay ne è l'esempio più lampante), ed altri che inchiodano il pubblico come ipnotizzato (Assouf, dove il bassista diventa assoluto protagonista sfoggiando una tecnica invidiabile, e un tocco sopraffino).

Il loro modo di muoversi, di ballare, di ringraziare, è insieme umile e fiero. Ringraziano in italiano (grasie mile), francese (mercì) e inglese (thank you so mushhh), sembrano onorati dalle ovazioni che le poche centinaia di spettatori dedicano loro anche a scena aperta, e ogni tanto rilasciano perle di minimalismo e saggezza araba (il thank you so much........and welcome to the desert con tutte le consonanti ben dure, sarà perchè sono l'ultimo dei romantici, sarà perchè sono ammaliato dai personaggi, rimarrà scolpito nella mia memoria probabilmente per l'eternità).

Per la prima volta dopo diversi anni, al momento del congedo vorrei che suonassero ancora. Non mi succede praticamente mai. Maybe il concerto dell'anno. Dopo questo, nulla ha più senso.


Eppure, la vita continua, ed il risveglio è brusco. La folla si accalca sotto il Main Stage per Mika, e già mi sento mancare. Questi fenomeni dopo un disco mi urtano e mi fanno venire il prurito. Ma ci siamo, e tanto vale guardare ed ascoltare. Condannati immediatamente i pantaloni verde pisello attillatissimi, constatato che oltre che far impazzire le ragazzine è un'icona gay, mi ripeto tutte le assonanze che avevo trovato nel suo disco Life In Cartoon Motion: tantissimi Queen, ma anche molti Village People, frullati in un moulinex rigorosamente pop. Le canzoncine sono canzoncine, ma suonano bene e fanno ballare tutti (o quasi). Vedo gente in delirio. Ma quel falsetto ostentato ed onestamente reiterato all'infinito dopo quattro pezzi risulta insopportabile. Adorabile faccia da schiaffi che, mi accorgo mirandolo ben bene nei maxischermi, somiglia ad un Ben Stiller con i capelli da giovane brit pop. Non lascerà tracce, almeno dentro di me.


Ancora Global Stage per gli Avion Travel, bravissimi ed elegantissimi (anche in senso non figurato, nella figura del loro cantante Peppe Servillo, per chi ancora non lo sapesse fratello di quel Toni, attore feticcio di Paolo Sorrentino, regista), non sono il mio genere, ma li apprezzo per qualche canzone, poi devo riposare le membra stanche e cibare questo corpo ormai dilaniato dagli anni, lasciandoli quindi in sottofondo.


Sono pronto per l'atto finale al Main Stage: Kaiser Chiefs, brit-rock con cenni di elettro-punk. Non sono mostri di tecnica, sono giovani e sfacciati, e si danno da fare per padroneggiare l'enorme palco, ma alla fine sono troppo statici. Mi riprometto, vista l'ora, di levare le tende al quarto pezzo, e i Chiefs leggono alla perfezione il mio dolore: il quartetto iniziale comprende Heat Dies Down ed Everything Is Average Nowadays, quindi posso ritenermi soddisfatto. Prendo la via dell'uscita, e mentre passo sotto le forche caudine del biglietto dopo le 21, attaccano Ruby.

Me ne vado fischiettandola, e pensando che domattina sarà durissima.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Bellissima recensione, come sempre...mi trovi daccordo sul "thank you so much........and welcome to the desert"!!! Ah la citazione "le mille e una notte" me l'hai copiata :) Per una volta il maestro accinge dall'allievo!!! Baci

jumbolo ha detto...

dunque, io l'ho fatto inconsciamente, non mi ricordavo già più che l'avevi usata, ma almeno io non uso ACCINGERE per dire ATTINGERE

vai vai, vai a letto

Anonimo ha detto...

T'hai ragione...chissà a icchè pensavo...vo a letto l'è meLLio

Anonimo ha detto...

andajece!