No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20061224

la sicurezza della cattiveria


L'amico di famiglia - di Paolo Sorrentino 2006

giudizio sintetico: da vedere assolutamente

Geremia ha 70 anni, è bruttissimo, sporco, deforme, viscido. Vive con la madre, paralizzata a letto (ma forse non paralitica), in un appartamento squallido, mangia semolino a pranzo e a cena, fuori pasto si ingozza di gianduiotti dei quali è geloso. Ha una piccola sartoria, che però gli serve da copertura: la sua vera attività è lo strozzinaggio. Come si direbbe a Roma, fa il cravattaro. Apparentemente gentilissimo, è spietato e senza scrupoli, sbava dietro alle belle ragazze e non perde occasione per approfittare delle sue eventuali "clienti" se si rivelano insolventi.
A lui si rivolgono tutti, insospettabilmente, per qualsiasi cosa. Al punto che non si sa bene chi, della varia umanità che gli gira attorno, sia il peggiore. Quando conosce Rosalba, una giovane stupenda e senza peli sulla lingua, per il matrimonio della quale i genitori si rivolgono a lui, inizia a sognare qualcosa di diverso dal solito.

Sono sempre restio ad usare la parola capolavoro; di solito è la storia che, poi, ti autorizza. Onestamente però, subito dopo la proiezione devo ammettere che la suddetta parola ha iniziato a farsi strada nei miei pensieri. A tutt'oggi non sono ancora sicuro se si possa usare per definire questo film strano, fuori dagli schemi come i precedenti di Sorrentino (L'uomo in più e Le conseguenze dell'amore), quello che so è che questo è senza dubbio uno dei film che più ti rimangono in mente, almeno in questo 2006. Bisogna dare atto a Sorrentino di essere un regista che osa, e che produce cose coraggiose e mai scontate; sono convinto che anche i detrattori, che come sempre, e come è giusto che sia, ci sono, dovrebbero riconoscerglielo.

Il film è destabilizzante sin dall'inizio, con una forte personalità. Si apre con una scena forte e surreale, si insinua nello spettatore con i titoli di testa che mettono in chiaro che siamo di fronte a qualcosa di inusuale. Una partita di pallavolo femminile in un campo di periferia, ripreso come un balletto, con My Lady Story di Antony & the Johnsons a fare da colonna sonora. Ruffiano ed elegante, ma anche un po' kitsch. Tutto il resto è voluto, mai lasciato al caso. L'ambientazione nell'Agro Pontino, l'insistenza sulle inquadrature simmetriche, aiutate dall'architettura fascista, ma anche dei particolari meno "squadrati" degli interni. La fotografia nitidissima, che contrasta con la sporcizia di tutti i personaggi, nessuno escluso. Le figure grottesche e macchiettistiche che scorrono sullo schermo (inutile fare un elenco, ma impossibile non citare almeno l'indimenticabile Fabrizio Bentivoglio nei panni di Gino, un impensabile cowboy veneto che sembra essere piovuto in quel contesto). La forte carica comica del tutto, che si scontra con la bassezza e la meschinità delle vicende, la tristezza del sottotesto. Si entra, ci si siede, si rimane spiazzati, poi si resta inchiodati alla poltroncina dalla bellezza che alberga nello squallore (Fellini), ci si domanda se anche noi, in fondo, siamo un po' così. Forse il finale è la parte debole del film, sappiamo che è stato rimaneggiato e che ce n'erano più di uno, ma perchè pretendere la perfezione al terzo film, in fondo. Se ne esce spossati e dubbiosi. E ci si domanda perchè non dovrebbero vederlo tutti, un film del genere. Colonna sonora, come di consueto, inappuntabile, perfetta e alternative. Cast imprevedibile e fantastico.

Non ve lo perdete, ve ne prego.

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