No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060501

iperrealismo mongolo


Il cane giallo della Mongolia - di Byambasuren Davaa 2006

Mongolia, steppa. Una famiglia che pratica ancora il nomadismo e la pastorizia ha 3 figli, la più grande, Nansal, va a scuola e torna a casa ogni tanto. In uno dei suoi soggiorni con la famiglia, incaricata di portare a far pascolare il gregge delle pecore, trova, in una grotta, un cane che lei battezza prontamente Macchia, a causa della colorazione del suo pelo. Il padre si oppone al fatto che la bambina tenga il cane, preoccupato che lo stesso sia stato a contatto con i lupi e che, tramite lui, arrivino al gregge, già martoriato dagli agguati. Quando la stagione cambia, e la famiglia si trasferisce, un accadimento particolare convincerà tutta la famiglia che il cane si merita di restare.
Per andare a vedere questo film dovete essere preparati. Il ritmo è lentissimo, quasi rallentato. E' il ritmo della vita, e non di quella occidentale, bensì di quella, appunto, dei nomadi mongoli.
Inoltre, succede poco, o niente, nei 90 minuti circa di questa pellicola. Ancora una volta, è il ritmo della vita, di quella vita; però, vedrete una realtà talmente diversa dalla nostra che ne rimarrete affascinati, anche se provati dall'impegno che richiede seguire la storia.
La regista viene, i più attenti se lo ricorderanno, dall'esperienza de La storia del cammello che piange, insieme al toscano Luigi Falorni; questo film gli somiglia molto, infatti è una sorta di docu-fiction, che, pare, doveva essere solo un compito per il diploma in storia del cinema a Berlino. La trama, fino alla fine, sembra solo un pretesto per raccontare come vivono i nomadi mongoli, una realtà assolutamente affascinante, che ci dà lezioni di vita anche solo dallo schermo di un cinema; osservando attentamente, oltre a ciò, c'è anche una sorta di incontro tra tradizione e modernità, del quale la regista è solo osservatrice (anche se, in verità, l'agognato nuovo mestolo di plastica risulterà inutilizzabile dopo il primo incidente). Inoltre, ci sono i bambini, belli da far paura, trattati da tali solo quando è necessario, mentre per il resto sono molto responsabilizzati. La regista è brava anche nei movimenti di macchina, essenziali ma non scontati (l'inquadratura dall'alto quando la bambina sta cercando il cane sulla rupe), necessari per far rendere in pieno gli straordinari scenari della steppa mongola, sottolineati da campi lunghi mozzafiato.
Un raro esempio quindi, di cinema didattico per adulti. E, per questo, impegnativo.

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