No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060316

il serpentone di Glasgow


Mogwai – Mr. Beast

Una delle cose più complicate, quando ti trovi a parlare dei Mogwai con qualcuno che non li conosce, oltre a fargli capire che si scrive con la I finale, e non con la Y (chissà per quale recondito motivo poi, si pensa che debba terminare in Y), è riuscire a spiegare “che genere fanno”, o, più semplicemente, “cosa” fanno. Adesso che i Sigur Ròs sono usciti dallo status di band di nicchia, risulta piuttosto comodo accostarli a loro. Certo che, riflettendoci, è abbastanza paradossale questo fatto, visto che entrambe sono delle band non incasellabili entro delle etichette o dei generi.
Una delle particolarità che da sempre caratterizzano il sound della band di Glasgow, è il muro sonoro creato dall’uso che fanno delle chitarre, la ripetitività dei riff usati per costruire la loro personalissima forma canzone, e il lavoro di “cesello” però, all’interno dei riff, delle stesse chitarre, che lavorano su piani differenti ma vicini, un lavoro che crea una sensazione di cambiamento lento all’interno di un suono ossessivo e martellante. Difficile spiegarlo alla macchinetta del caffè, per strada o sul treno, in effetti.
In questo ultimo lavoro, come sempre compattissimo, si continua sulla strada della creazione di muri sonori, che a volte rasentano la sinfonia ariosa, seppur massiccia e rock, alternata a momenti di sospensione, creati da pezzi rarefatti e parlati. L’iniziale Auto Rock usa il pianoforte e le percussioni in primo piano, in un crescendo maestoso aiutato da sintetizzatori, per introdurre la seconda traccia Glasgow Mega-Snake, già devastante al primo impatto, e già così indiscutibilmente Mogwai.
Il resto del disco, composto in totale da 10 tracce, è fatto da altalene sonore ed emozionali; si parte sottovoce, arpeggiando (Acid Food, Travel is Dangerous, Friend of the Night, Emergency Trap, Folk Death 95), oppure in maniera diversa, quasi sperimentale, per i due pezzi leggermente fuori dagli schemi (Team Handed ma soprattutto I Chose Horses). Chiusura con la summa di We’re No Here, dove i Mogwai esaltano la loro componente più cupa, ossessiva e quasi doom. L’uniformità dei pezzi può, come sempre, essere vista come noiosa e monotona o come precisa cifra stilistica. Prendere o lasciare.
Oltre ai Sigur Ròs, c’è chi li accosta agli Slint, chi ai Godspeed You Black Emperor; a me piace immaginarli come dei moderni Cocteau Twins senza la dolcezza della voce di Liz Fraser, ma con in più la durezza rock fatta dal muro delle loro chitarre “armate” (aggettivo che accosta i Mogwai non ad un esercito, bensì ad un particolare uso del cemento).

3 commenti:

lafolle ha detto...

è proprio un bel disco. mi piace un bel pò!

jumbolo ha detto...

come valeriana

lafolle ha detto...

ahahahahah
si proprio !